sabato, Dicembre 21, 2024
Labourdì

Welfare aziendale, gig economy ed il giuslavorista del futuro: i nuovi orizzonti del diritto del lavoro – Intervista al Prof. Michele Tiraboschi

Michele Tiraboschi (Professore ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, è coordinatore del comitato scientifico ADAPT – Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, fondata dal Professor Marco Biagi nel 2000 – e direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande che pongono l’accento sulle nuove sfide che il mondo del diritto del lavoro sta attualmente affrontando, in bilico tra i nuovi orizzonti delineati dall’avvento del welfare aziendale e l’esigenza di predisporre forme di tutela efficaci nell’era della “gig economy”.

Professor Tiraboschi, le politiche di welfare aziendale ristrutturano ex novo le relazioni industriali, ripensando in termini nuovi al rapporto del lavoratore col proprio contesto lavorativo. Quanto, in questo settore, è importante una normativa che incentivi la strutturazione dei piani di welfare sulla base delle specificità aziendali e territoriali di riferimento? Gli incentivi possono essere utili per orientare le condotte di imprese e operatori. Tuttavia, in una materia delicata come quella del welfare, non devono prevalere logiche di mera convenienza fiscale che, alla lunga, finiscono con l’alimentare condotte poco o nulla virtuose. Nonostante una opinione diffusa il welfare aziendale non risponde infatti a un semplice arretramento del welfare pubblico quanto a un cambiamento dei modelli organizzativi e dei contratti di lavoro. Le scelte di operatori e imprese, ma anche degli stessi lavoratori, sono virtuose se accompagnano questo cambiamento, non se inseguono il puro incentivo fiscale. In altri termini, e molto concretamente, un buono per la spesa o per la benzina ha poco di welfare e non aiuta a gestire la trasformazione del lavoro in atto. L’auspicio è che dietro ogni politica di welfare aziendale ci sia una forte tensione a costruire nuove reti di protezione per le persone che lavorano che è altra cosa da inseguire semplici vantaggi fiscali.

Sempre in materia di politiche legate al welfare aziendale, ritiene questo strumento capace di produrre il necessario balzo in avanti nell’evoluzione delle relazioni industriali in tutto il territorio nazionale? O rimarrà un fenomeno circoscritto a poche virtuose realtà industriali, già radicate in contesti territoriali economicamente forti? Quello che sappiamo è che, per adesso, il welfare aziendale si concentra in pochi settori (in prevalenza meccanica e chimico) e soprattutto nelle aziende di più grandi dimensioni. Il successo si misurerà tuttavia in relazione al tasso di penetrazione anche nelle imprese di dimensioni minori. Le attuali difficoltà confermano come il welfare aziendale sia il più delle volte “esternalizzato” a piattaforme di welfare senza alcuna vera connessione con le politiche sindacali e del lavoro dentro le singole aziende. Il salto qualitativo lo avremo quando il welfare entrerà nello scambio contrattuale andando oltre i temi del salario e dell’orario di lavoro. 

Il mondo del diritto del lavoro è messo alla prova dai rapidissimi mutamenti del mercato del lavoro, primo fra tutti l’avvento della cd. “Gig economy”: è possibile che le tradizionali categorie d’inquadramento giuridico e dottrinale possano sopravvivere a questo impatto ed uscirne rivitalizzate o stiamo assistendo ad una vera e propria “caduta degli Dei”? Il lavoro del futuro è un lavoro per progetti, fasi, cicli con sempre più ampia autonomia e partecipazione del lavoratore. Difficile gestire questo cambiamento con le categorie legali del Novecento industriale, su tutte la categoria del lavoro dipendente e quella delle mansioni. 

Di recente ha scritto: “Ritorna l’idea di Marco Biagi di uno Statuto dei lavori, di tutti lavori, che abbia al centro non le qualificazioni formali dei contratti con cui si lavora ma la persona nei suoi percorsi di carriera, siano essi di lavoro o di non lavoro, dentro continue transizioni occupazionali”.Come può il Legislatore, riportare il lavoratore, inteso quale unità di valore e non più mero ingranaggio della macchina industriale, ad essere il vero fulcro della discussione e degli equilibri legati alle politiche del lavoro? La mia personale idea, indubbiamente molto influenzata dalla elaborazione progettuale di Marco Biagi, è che occorre ribaltare prospettiva e cioè impostare la regolazione dei rapporti di lavoro dal lato delle tutele più che dei contratti e delle fattispecie legali. Tutte le persone devono avere, nel lavoro, alcuni diritti fondamentali a prescindere dal tipo di lavoro. Parlo di una equa retribuzione, della tutela contro infortuni e incidenti sul lavoro, del diritto alla formazione continua. Altre tutele potrebbero poi essere assegnate in ragione del tipo di attività o settore produttivo con ampio coinvolgimento della contrattazione collettiva soprattutto quella di prossimità e di territorio. Di certo dobbiamo passare dal diritto del contratti di lavoro a un diritto che si occupi anche e soprattutto delle sempre più frequenti transizioni occupazionali che non sono più da posto a posto.

A quasi 50 anni dall’emanazione dello “Statuto dei Lavoratori”, è possibile secondo Lei vedere ancora in questa legge uno strumento di efficace tutela delle istanze lavorative? È davvero giunto il momento, come da più fronti auspicato, di una versione 2.0? Quello che conosciamo è lo statuto del lavoro dipendente a immagine e somiglianza del lavoro industriale. Dobbiamo ora appunto pensare a uno statuto di tutti i lavori e di tutte le persone, la contrapposizione tra autonomia e subordinazione è un ostacolo alla modernizzazione del nostro mercato del lavoro.

Ius in Itinere intende rappresentare, con il suo concept, il meglio che le giovani generazioni di professionisti del diritto e dell’economia sono in grado di esprimere. Ai giovani giuristi appassionati di diritto del lavoro e che ambiscono a divenire giuslavoristi, cosa si sentirebbe di consigliare? Su cosa è più efficace focalizzarsi e quali sono le skills necessarie per emergere e realizzare il proprio sogno? Auguro ai giovani che ancora frequentano i corsi di giurisprudenza di trovare prima di tutto una vocazione, un contesto dove poter esprimente i propri talenti e la propria passione. Talento e passione però da soli non bastano. Ancora oggi servono studio e soprattutto metodo. Le tecnologie ci aiuteranno sempre più a gestire dati, informazioni e conoscenze mentre il tratto distintivo del professionista sarà la capacità di leggere tutto questi materiali con metodo. Un metodo giuridico sicuramente rinnovato. La vera rivoluzione non potrà che partire dal modo con sui noi professori formiamo i futuri giuristi. SU questo fronte c’è ancora molto da fare, soprattutto per far capire che il giurista (soprattutto nell’ambito dei temi del lavoro) non esaurisce la propria professionalità nella dimensione di giudice o avvocato. Vedo un enorme spazio per attività di progettazione e consulenza in collaborazione con professionisti di altre discipline. L’attitudine alla interdisciplinarietà mi pare la dote oggi più preziosa e distintiva per un giuslavorista moderno.

Rossana Grauso

Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Napoli "Federico II" e tesista in diritto finanziario, è socia di Elsa Napoli. Appassionata di tributaristica e diritto del lavoro, prende parte al progetto "Ius in Itinere" a giugno 2016, divenendone nel gennaio 2017 responsabile dell'area di diritto tributario e diritto del lavoro. Dall'ottobre 2017 è collaboratore editoriale per AITRA - Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione. Nel futuro, un master in fiscalità d'impresa e contrattualistica internazionale. Email: rossana.grauso@iusinitinere.it

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