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Riuscirà la Cina a rispettare gli impegni ambientali presi a Parigi?

Premessa: questo è il secondo di una serie di articoli che mirano ad analizzare, da un punto di vista del diritto internazionale, le legislazioni ambientali ed energetiche dei principali paesi firmatari della COP21. L’articolo è stato scritto a Shanghai, durante un’attività di ricerca fonti per la tesi di laurea presso la Koguan Law school della Jiao Tong University.

Cop 21
Nel 2014, il quindicesimo “assessment report of intergovernmental panel on climate change” riporta che la causa principale del riscaldamento globale è dovuta alla emissione di greenhouse gas (GHGs) derivante dall’attività industriale umana. (IPPC)
Nel 2015, 196 paesi si sono riuniti a Parigi, raggiungendo uno storico accordo per la salvaguardia dell’ambiente.
Per molti studiosi, tuttavia, il più importante passo in avanti che è stato compiuto con questo accordo è stata la partecipazione attiva ai negoziati da parte della Repubblica Popolare Cinese.
Sono stati dei negoziati lunghi e complessi con, alle spalle, sempre l’ombra del fallimento di Copenaghen del 2009.

Il presidente Xi Jinping, durante la cerimonia di apertura, ha dichiarato che la Cina ridurrà le emissioni di Co2 del 60/65 %, a partire dai livelli registrati nel 2005, entro il 2030. Ha, inoltre, affermato che la Cina sarà attiva nell’investire capitale economico ed umano nello sviluppo alle energie rinnovabili.
Oggi la Cina è la più grande consumatrice e produttrice di energia al mondo, ma i consumi pro capite sono ancora ben lontani da quelli dei paesi occidentali più sviluppati. Secondo un’analisi condotta da BP energy economics nel 2014, i consumi energetici del “grande dragone” aumenteranno del 71 % entro il 2035. Questo, ovviamente, contrariamente a quanto affermato dal primo ministro.

Tredicesimo FYP (five year plane)

Il FYP è un documento redatto dal partito, riunito in seduta comune, che detta le linee guida per la politica del paese. E’ un momento centrale nella gestione della politica della repubblica popolare cinese, ed è fondamentale la sua lettura per uno straniero che voglia approfondirne la conoscenza. Il dodicesimo FYP già faceva presagire l’importanza che il governo di Jinping voleva fornire alla lotta contro l’inquinamento. Tuttavia è il tredicesimo FYP (2016-2020) che segna il punto di svolta. Infatti, in questo documento, si parla di:

“Develop environmental technology industry, as well as ecological living and ecological culture”

Per riprendere le parole dell’ex primo ministro cinese, Hu Jintao, si tratta di una Eco-civilization (figura 1).

Questa opera di eco-civilizzazione affonda le proprie radici nel confucianesimo, che ancora si sente forte nelle idee e nei termini utilizzati nella legislazione cinese. L’idea è rappresentata dal principio classico dell’equilibrio tra uomo e natura che dovrebbe portare a ciò che gli studiosi hanno definito il “new normal”. Un ritorno all’idea di sviluppo sostenibile, che possa far viaggiare l’economia, l’industria e l’edilizia a livelli standard. Questo, indubbiamente, può avvenire solo ed esclusivamente grazie ad una legislazione adatta. Il periodo di riforma inaugurato da Jinping è impressionante. Moltissime sono le leggi varate in materia ambientale. Basti citare la Environmental protection law (2015), Marine environment protection law (2014), Air pollution prevention and control law (2016), Renewable energy law (promulgata nel 2008 ma radicalmente modificata nel 2015).

Punti oscuri
Questa è dunque una brevissima panoramica sullo sviluppo della politica energetica ed ambientale cinese, in relazione agli impegni presi a Parigi nel 2015.
Occorre, tuttavia, far presente quelli che sono i punti oscuri e le contraddizioni che suscita lo studio della politica ambientale ed energetica cinese in rapporto alla COP21. Prima di tutto, occorre soffermarsi su quello che è stato definito il “grande inganno” della COP21. Non c’è, infatti, alcun obbligo legale né alcuna sanzione prevista per chi non rispetterà gli impegni presi a Parigi (Obergassel et al. 2016).
A ciò si aggiunga, la “legislazione per principi” (dunque poco cogente), che risalta da uno studio delle leggi varate dalla repubblica popolare cinese in materia ambientale (alcune delle quali citate in precedenza).
Ma soprattutto rimane il grande tema dell’energia nucleare. Anche se l’energia eolica ha superato in terawatt-ore quella nucleare (rimando ancora alla figura 1), il governo cinese prevede un incremento del 10%, entro il 2030, di energia nucleare. Nel 2014 l’energia nucleare soddisfaceva, infatti, l’1.5 % del fabbisogno energetico. Si passerà al 10% nel 2030. Ma soprattutto, di fianco agli annunci di eco-civilization, Il 13th FYP prevede la costruzione di 6-8 nuovi impianti nucleari. E, se è vero che gli impianti nucleari non generano direttamente i gas greenhouse, è pur vero che rimane più di un dubbio in riferimento allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Per non parlare dell’ impatto ambientale che la costruzione di nuovi impianti nucleari, per quanto tecnologici possano essere, hanno sull’ambiente circostante.

Conclusione
Non c’è un modo certo per rispondere alla domanda che ha dato il via a questa breve disamina. Di certo la propaganda del partito comunista cinese oggi fa suo il motto “Per un ambiente migliore!” (vedasi “China’s Policies and Actions for Addressing Climate Change” redatto dal National Development and Reform Commission). Ma questo accade anche e soprattutto per le pulsioni sociali che vengono dalla popolazione, stanca dell’avvelenamento delle acque, dell’avvelenamento dei prodotti agricoli, dell’aria assolutamente irrespirabile delle grandi città. In Cina ci sono delle aree denominate “The cancer village” per la grande incidenza di tumori dovuti all’inquinamento. Il “World energy outlook 2016” dell’IEA afferma che il numero di morti premature nel 2016 in Cina, per l’inquinamento, è stato di 3 milioni di persone. Si passerà a 5 milioni entro il 2040.
Per ora, possiamo solo analizzare i dati, studiare la legislazione criticamente, comprendere le linee guida. Ma sarà la storia, in futuro, a decretare dove si colloca quella labile linea di confine tra propaganda e volontà di cambiamento. Un fatto è, tuttavia, certo. I dati parlano chiaro: occorre avere gli occhi puntati sulla Cina perché dipenderà dalle scelte della politica cinese buona parte del futuro del pianeta.

Enrico Corduas

Classe 1993, laureato con lode in  giurisprudenza (Federico II) in diritto dell'energia con una tesi dal nome "Europa-Cina: politiche energetiche a confronto", frutto di un'esperienza di ricerca tesi a Shanghai (Koguan Law school). Attualmente svolge il tirocinio ex art 73 presso la Corte d'Appello di Napoli, I sezione penale.

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