giovedì, Novembre 14, 2024
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L’ISDS tra la Germania e la compagnia energetica svedese Vattenfall

Ad oggi, la Germania è il terzo paese europeo a livello globale, dopo USA e Cina, nella produzione di energia eolica e solare con l’utilizzo di fonti rinnovabili; i dati raccolti il 1° maggio 2018 dalla Federal Network Agency mostrano che le green energies in Germania hanno prodotto oltre il 100% della domanda elettrica nazionale, spingendo in negativo i prezzi all’ingrosso[1]. Sono dati importanti, che confermano gli obiettivi prefissati dalla Germania, ossia crescita e maggiore flessibilità al proprio sistema energetico. L’utilizzo dell’energia rinnovabile è una vera e propria sfida per il mondo economico e commerciale a livello globale, nonché una plausibile soluzione per limitare l’aumento della temperatura del nostro pianeta; nonostante ciò, ancora tanti sono gli ostacoli da superare in materia e diverse sono le problematiche da risolvere.

Tra le controversie in tema di energia rinnovabile quella più nota a livello europeo coinvolge proprio la Germania e la compagnia energetica svedese Vattenfall.

I dissapori tra le due sono iniziati circa 7 anni fa, quando dopo il disastro di Fukushima del 2011, la Germania decise di abbandonare l’energia nucleare; in risposta al cambio delle politiche energetiche, la società Vattenfall chiese un risarcimento di circa 5 miliardi di euro per i danni subiti ai propri impianti di produzione di energia nucleare presenti nel nord della Germania. Il mezzo utilizzato dagli svedesi fu l’ISDS (Investor State Dispute Settlement): il meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato e investitore privato; per molti l’istituzione di questo arbitrato internazionale è stato un vero e proprio strumento intimidatorio, che ha spinto la Germania a cedervi per evitare gli ammodernamenti richiesti. Il contenzioso, in corso dal 2012, si è concluso nel 2016 e i dettagli, per volontà delle parti, sono stati resi inaccessibili al pubblico.

Quello che per certo si sa è che, con l’abbandono del nucleare in Germania, ogni impianto è destinato a chiudere entro il 2022. Questa decisione avrebbe spinto le società tedesche di Vattenfall a presentare, in primis, una denuncia costituzionale alla Corte federale tedesca; ma nel 2016 la Corte ha deciso per la compatibilità costituzionale dell’uscita dal nucleare. Tuttavia, lo Stato avrebbe dovuto risarcire le aziende per l’elettricità residua senza più valore: alla sola Vattenfall era stato stabilito il risarcimento di circa due miliardi di euro. Decisione rimessa poi, anche, dinanzi al Tribunale internazionale di Washington, l’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes), per non attendere la lunga procedura prevista dinanzi alla Corte federale. Dal reclamo presentato dall’azienda svedese al tribunale internazionale si legge: “Vattenfall does in no way question the decision to phase out nuclear power in Germany”[2]; ciò significa che la Vattenfall non ha messo in discussione la decisione tedesca di uscire dal nucleare; semplicemente, come previsto dal Trattato sulla Carta dell’Energia (Parte V articolo 26 e 27)[3], si è avvalsa dello strumento messo a disposizione degli investitori esteri per tutelare i propri interessi, a prescindere da quelli politici. La Germania è libera di riordinare la propria politica energetica, senza che, però, questo comporti un prezzo da pagare o la perdita di denaro per gli investitori stranieri.

Alla base della pretesa risarcitoria della compagnia svedese è stato, poi, posto un caso simile, verificatosi nel ’97 in Svezia, quando il governo svedese decise di smantellare la centrale nucleare di Barseback. In entrambi i casi, quello svedese e quello tedesco, ci troviamo dinanzi ad una decisione politica che ha comportato la chiusura di una centrale nucleare ancor prima del previsto, per una scelta univoca ed arbitraria, l’unica differenza sostanziale è che, la Svezia decise di compensare subito i proprietari colpiti dalla dismissione della centrale, mentre il governo tedesco non ha riservato un trattamento simile alla Vattenfall, la quale ha chiesto e ottenuto un risarcimento per i danni subiti dai mancati profitti.

In termini giuridici possiamo riconoscere che gli investimenti nel settore energetico, comportando l’impiego di ingenti somme di denaro, presuppongono una pianificazione a lungo termine ed una tutela del principio di diritto internazionale del legittimo affidamento (legitimate expectetion). Proprio quest’ultimo rientra tra gli elementi dello standard Fair and Equitable Treatment (FET), ossia, il trattamento giusto ed equo che deve essere garantito negli accordi di natura commerciale. Nel caso di specie, ciò ha significato che la società straniera (Vattenfall) ha effettuato importanti investimenti in un’industria di energia nucleare sul presupposto che tale energia dovesse far parte del sistema energetico e del sistema di produzione; quindi, l’azienda non avrebbe dovuto assumere le conseguenze di un improvviso cambiamento politico. Nel momento in cui il cambiamento politico è avvenuto, il Tribunale internazionale e la Corte federale hanno riconosciuto una violazione del trattamento giusto ed equo ed il diritto al risarcimento per la perdita finanziaria sostenuta.

Restando ancora nel contesto dell’energia e delle fonti sostenibili, merita menzione anche la più recente controversia che trova coinvolti i medesimi soggetti relativa alla direttiva “Habitat” 92/43/CEE[4], violata dalla Germania per aver “ceduto” al patteggiamento con la compagnia energetica svedese Vattenfall.  La Corte Europea di Giustizia nel 2017 ha, infatti, condannato il comportamento tedesco per aver concesso alla centrale a carbone di Moorburg della Vattenfall di operare con procedure illegittime: lo stabilimento, situato sulle sponde del fiume Elba,  intercettava la rotta migratoria di pesci protetti dalla direttiva Habitat e, a causa del suo meccanismo di raffreddamento, causava la morte di diverse specie protette.

La pronuncia della CGUE si pone in “antitesi” con l’arbitrato internazionale ed con la posizione adottata dalle autorità tedesche, che avevano volutamente ridimensionato le valutazioni di impatto ambientale per evitare di dover risarcire ulteriormente la Vattenfall. Nell’attuale contesto storico, in cui ancor si dibatte sull’introduzione negli accordi commerciali di meccanismi di risoluzione delle controversie come l’ISDS, la posizione della Corte sembra essere una vera e propria posizione contraria agli stessi e, finisce con l’inserirsi in un contesto “nuovo” per il commercio internazionale, quale essere quello della sostenibilità.

[1] Energia. Rinnovabili.it, “Nel 1° maggio tedesco nuovo picco delle energie rinnovabili”. Berlino, 3 maggio 2018. http://www.rinnovabili.it/energia/fotovoltaico/picco-energie-rinnovabili-germania/

[2]

[3] https://energycharter.org/fileadmin/DocumentsMedia/Legal/ECT-it.pdf

[4]

[5] Ambiente. Rinnovabili.it, “Germania condannata per aver ceduto all’ISDS”. Bruxelles, 28 aprile 2017. http://www.rinnovabili.it/ambiente/germania-condannata-isds-333/

Maria Rosaria Salzano

Nata nel 1991 in provincia di Caserta, ha frequentato l'Università Federico II di Napoli, laureandosi nel Febbraio 2018 in Diritto del commercio internazionale con una tesi sul "Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti". Dopo circa due mesi in Scozia, nel Regno Unito, per frequentare una scuola di lingua inglese, attualmente è studentessa presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II per l'Executive Master in Gestione delle Risorse Umane. Sogna di diventare una giurista d'impresa, non rinunciando però alle sue passioni, come quella di: suonare la chitarra, di scrivere e di viaggiare. Collaboratrice dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il commercio internazionale.

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