L’evoluzione dell’eterodeterminazione nel lavoro subordinato
Il contratto di lavoro subordinato ha ad oggetto una prestazione che è frutto dell’organizzazione del datore di lavoro e si svolge alle dipendenze e sotto la direzione dello stesso.
La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo era già presente nel codice del 1865 dove però si era soliti parlare di locatio operarum e locatio operis. La prima, inquadrabile come fattispecie vicina al rapporto subordinato, si articolava in un’attività lavorativa in senso stretto e di conseguenza non determinava il sorgere in capo al lavoratore delle conseguenze per il mancato raggiungimento del risultato.
Nella locatio operis, identificabile nell’attuale ipotesi di lavoro autonomo, il lavoratore era gravato dell’obbligo di risultato.
La valutazione del profilo pratico consente, però, di cogliere l’inidoneità della tesi de qua dal momento che anche a fronte di ipotesi di lavoro subordinato il lavoratore è tenuto a perseguire gli interessi del datore.
Si palesava, dunque, la necessità di fornire un idoneo criterio distintivo.
Il codice del 1942 con l’articolo 2094 c.c definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che “dietro retribuzione, si obbliga a collaborare con l’impresa fornendo il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze dell’imprenditore”.
La lettura di tale disposizione sembra inquadrare come elemento caratterizzante l’ipotesi de qua l’eterodeterminazione. Laddove, di conseguenza, il rapporto di lavoro si connoti per la posizione di soggezione assunta dal dipendente rispetto alle decisioni del datore di lavoro ci si trova innanzi ad un contratto di lavoro subordinato.
Occorre in realtà rilevare che nella prassi sono molteplici i rapporti a essere caratterizzati da una posizione debole del lavoratore. È proprio per questa ragione che l’eterodeterminazione non è elemento da solo idoneo a caratterizzare la tipologia di rapporto lavorativo in esame.
A fronte delle difficoltà nel recepire una definizione unica e omogenea di lavoro subordinato la dottrina, alla luce di differenti orientamenti giurisprudenziali, ha cercato di elaborare in passato indici di subordinazione su cui fondare l’accertamento in termini di rapporto di eterodeterminazione. Secondo tale tesi, a fronte di un rapporto dalla difficile interpretazione, è opportuno confrontare lo stesso con il modello astratto risultato dalla combinazione dei vari indici strutturati.
A fronte delle numerose critiche sollevate nei confronti di un orientamento che legava la valutazione di un rapporto di lavoro ad un giudizio di approssimazione, la giurisprudenza ha elaborato una differente teoria.
In particolare per la Corte di Cassazione il giudizio di approssimazione si limitava semplicemente a verificare se l’assetto di interessi fosse concretamente più vicino al rapporto di lavoro subordinato che a altri. Il giudice però è tenuto a valutare la particolarità che connota ogni singolo rapporto di lavoro.
È per tale ragione che a partire dagli anni 80 la corrente giurisprudenziale maggioritaria ha elaborato un nuovo criterio improntato alla valutazione dell’elemento volontaristico delle parti. Al fine di comprendere se il rapporto di lavoro sia inquadrabile come subordinato o autonomo, ai sensi di tale impostazione, deve valutarsi il solo contenuto del rapporto, ridimensionandosi di fatto la portata del nomen iuris.
La tesi si sofferma sull’elemento psicologico esaltandolo come criterio idoneo a tracciare il distinguo tra le varie forme di lavoro profilabili.
Proprio in tale fase storica, però, la Corte di Cassazione ha dato impulso ad un processo teso a identificare rapporti di lavoro che, pur presentando disparati elementi comuni con il rapporto subordinato, sono stati diversamente qualificati.
L’obiettivo perseguito dalla giurisprudenza attraverso il riferimento a nuove forme di rapporto lavorativo era quella di assicurare forme di tutela minime in ambiti fino ad allora privi. L’esempio tipico è costituito dalla disciplina del lavoro parasubordinato. A tal proposito si pensi alla legge Biagi che, modificando l’ art. 409 cpc, ha previsto l’applicazione del processo del lavoro anche ai rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e co.co.co prevalentemente personale, anche allorquando non fossero inquadrabili come rapporti di lavoro subordinato.
La peculiarità di tali rapporti sta, dunque, nel fatto che Il committente non ha potere di direzione ma il lavoratore non è totalmente autonomo.
Al fronte di un eccessivo dilagare della figura di collaboratori coordinati continuativi (CoCoCo), che facilitavano l’elusione da parte dei datori di lavoro della tutela prevista per i lavoratori subordinati, il d.lgs. n.276/2003 ha provveduto a disciplinare il lavoro a progetto.
In tale ipotesi il rapporto tra datore di lavoro e dipendente deve istituirsi mediante un accordo scritto che deve contenere alcuni elementi tassativi: il progetto, la durata, il corrispettivo, le possibili forme di coordinamento, le misure di tutela della salute.
Laddove le parti non provvedano a realizzare un progetto dettagliato, il rapporto si intende di lavoro subordinato e si applica la disciplina prevista per lo stesso.
Volendo guardare ai più recenti arresti è stata proprio la Corte di Cassazione a ribadire come, pur essendo l’eterodeterminazione uno dei tratti essenziali del rapporto di lavoro subordinato, non è il solo. Il fatto che il datore ponga in essere un’attività di vigilanza su un lavoratore, ad esempio, non consente automaticamente di qualificarlo come dipendente. È ben possibile infatti che il soggetto agisca come lavoratore autonomo pur dovendo sottoporre la sua attività a supervisione.
Secondo i recenti orientamenti, dunque, a connotare in maniera considerevole la tipologia di rapporto de qua è il tipo di potere riconosciuto al committente. Laddove il datore di lavoro goda di un potere gerarchico con il quale grava il dipendente di un obbligazione di eseguire la prestazione con la diligenza richiesta dalla natura della stessa e dalle esigenze dell’impresa (articolo 2104 c.c.) può considerarsi valida l’esistenza di un legame di subordinazione.
L’attenzione riservata al vincolo di dipendenza che intercorre tra lavoratore e committente consente di comprendere come il datore possa anche procedere a trasferire verso il basso il suo potere senza che questo infici o renda più debole il rapporto instaurato.
È proprio per tale ragione che recentemente si è assistito alla diffusione di forme di lavoro che, pur potendo inquadrarsi nella disciplina della subordinazione, vedono notevolmente “alleggerito” il controllo e il potere di vigilanza da parte del datore di lavoro.
Ci si riferisce alle ipotesi oggi riconosciute sotto il nomen iuris di “lavoro agile” che perseguendo la scia già iniziata con il “telelavoro” ha ancor di più accentuato il dato della dislocazione del lavoratore dipendente rispetto alla struttura dove sarebbe tenuto a svolgere le proprie mansioni.
La legge n. 81 del 2017, che lo ha istituito, ha completamente rivoluzionato il concetto di subordinazione, improntandola a caratteri di flessibilità e indipendenza.
Il lavoratore, che resta sempre un dipendente sottoposto alle dipendenze e alle direttive del datore, vede riconoscersi la facoltà di svolgere le proprie mansioni ovunque e in qualsiasi momento usufruendo della tecnologia portatile.
La ratio che ha animato il riconoscimento di questa forma lavorativa è quella di favorire, attraverso l’ausilio della tecnologia e di sistemi di avanguardia, la competitività, lasciando di conseguenza maggiore elasticità ai lavoratori di organizzare l’attività lavorativa con la vita sociale.
le critiche sollevate rispetto allo smart work sono notevoli. Quel che è certo è che l’introduzione di una forma così flessibile di lavoro nella disciplina nostrana ha costituito una vera e propria rivoluzione non solo nei rapporti tra lavoratore e committente ma nell’intera disciplina del diritto del lavoro.
Fonti:
1- Santoro Passarelli – “Diritto e processo del lavoro e previdenza sociale. Il lavoro pubblico e privato”
2- Corte Cass, sent. n. 8845/2012
3- Legge n.81/2017 – Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato
Serena Zizzari é nata a Caserta il 12/03/1993. Ha perseguito i suoi studi universitari presso la Facoltà Federico II di Napoli dove, in data 12/07/2016, ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza con votazione 110 e lode.
Ha vissuto un’ esperienza di studio all’estero attraverso il progetto Erasmus nella città di Siviglia. Praticante avvocato, attualmente frequenta un corso privato di preparazione al concorso in Magistratura e il primo anno della Scuola di specializzazione delle Professioni legali.