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“La velocità” nemica del diritto: il rito superaccelerato approda alla CGUE

rito superaccelerato

Il cd “rito superaccelerato”, introdotto dall’art. 204 del D.lgs 50/2016 al comma 2-bis dell’art. 120 del c.p.a, è stato sottoposto allo scrutinio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea tramite l’ordinanza n.88/2018 dal Tar Piemonte Sez. I. L’art 120 comma 2-bis del c.p.a[1] prevede che “ogni contestazione relativa alla ammissione e/o all’esclusione deve essere proposta nel termine perentorio di 30 giorni decorrente dalla comunicazione dell’atto di cui all’art 29 d. lgs. 50/2016”; nel caso di specie la ricorrente (seconda classificata in gara) ha impugnato gli atti della procedura, lamentando la mancata esclusione dell’aggiudicataria per l’assenza dei requisiti di partecipazione, “una volta intervenuta l’aggiudicazione, seppure la stazione appaltante avesse regolarmente comunicato alle ditte partecipanti l’atto di ammissione dei concorrenti, come previsto dall’art 29 d. lgs. 50/2016”.

La stazione appaltante e la controinteressata hanno prontamente eccepito l’irricevibilità del ricorso in quanto intervenuto avverso l’aggiudicazione definitiva. L’applicazione di tale normativa avrebbe dovuto condurre alla declaratoria d’irricevibilità per tardività del ricorso ed impedire l’esame nel merito delle censure avanzate dalla ricorrente in relazione alla mancanza dei requisiti di partecipazione, sennonché viste le “Recomandations to national courts and tribunals, in relation to the initiation of preliminary ruling proceedings (2016/C 439/01)”[2] , il Collegio ha deciso di sospendere il giudizio per effetto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La ratio del “rito superaccelerato” riguarda la necessità di consentire la definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione, in modo tale da definire “la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione” (Cons. St, commissione speciale, parere n. 885 dell’1 aprile 2016); una volta avvenuta l’aggiudicazione questa deve essere impugnata con ricorso autonomo ovvero con l’istituto dei “motivi aggiunti”.

Profili di criticità sembrano profilarsi per il caso in cui “sia censurata l’ammissione/mancata esclusione di un partecipante che, tuttavia, conclusa la gara, potrebbe non essere risultato aggiudicatario; così come lo stesso ricorrente potrebbe, a conclusione del procedimento, porsi in una posizione tale da non avere alcun interesse a contestare l’aggiudicazione. In queste ipotesi l’onere che si impone al soggetto partecipante alla gara risulta “inutile” in relazione al fine ultimo della procedura, ovvero l’aggiudicazione dell’appalto.  Ancora, ove nessun partecipante faccia valere la mancata esclusione “di altro partecipante, che risulti poi aggiudicatario, è preclusa la possibilità di fare valere vizi relativi all’illegittima ammissione dell’aggiudicatario” con la conseguenza che potrebbe ottenere l’aggiudicazione un soggetto privo dei requisiti di partecipazione.

Tuttavia, la disciplina è risultata conforme a Costituzione in quanto, la non configurabilità in capo ai partecipanti dell’utilità finale (l’aggiudicazione) durante la fase di ammissione, non è ostativa “all’emersione anticipata di un distinto interesse di natura strumentale proprio e personale del concorrente, e quindi distinto dall’interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di gara”. La necessità di una tutela anticipata di tale interesse dipende dalla configurazione bifasica ideata dal legislatore, caratterizzata dal fine di evitare regressioni del procedimento, a causa di “iniziative di natura contenziosa” riguardanti vizi accertabili nella fase preliminare, in virtù dei canoni di buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative.

Inoltre, il diritto di difesa a tutela dell’ ulteriore e distinta posizione soggettiva rappresentata dall’aggiudicazione della gara, non risulta “limitato o scalfito” in relazione agli artt. 24 e 113 Cost, essendo possibile rilevare l’illegittimità della fase d’ammissione entro i termini di decadenza dell’art 120 c.2-bis c.p.a.[3] Tuttavia è innegabile il fatto che l’anticipazione della tutela in una fase antecedente l’aggiudicazione renda “sicuramente più oneroso l’esercizio del diritto di difesa”.[4] In tal senso infatti vi sono state pronunce che, benché incidentalmente, hanno rilevato il possibile contrasto della norma in esame con la Carta Costituzionale e con le fonti del diritto europeo:

  • “Il rito superaccelerato sembra porsi in contrasto con le garanzie costituzionali di azione in giudizio e tutela contro gli atti della P.A. ex art. 24 e 113 Cost. e questo a causa dell’onere di immediata impugnativa di provvedimenti a fronte dell’assenza di un interesse concreto ed attuale al ricorso” (T.A.R. Campania, Sez. IV, 20/12/2016, n. 5852)
  • “la novella legislativa dell’art. 120 c. 2bis c.p.a. confligge con il quadro giurisprudenziale storicamente consolidatosi atteso che veicola nell’ordinamento l’onere di immediata impugnazione dell’ammissione di tutti gli operatori economici – quale condizione di ammissibilità della futura impugnazione del provvedimento di aggiudicazione – anche in carenza di un’effettiva lesione od utilità concreta” (T.A.R. Puglia, Sez. III, 08/11/2016, n. 1262).

Invero, secondo il Collegio, un rito ad hoc per la fase di esclusione/ammissione “aggrava il partecipante alla gara dell’onere di proporre una doppia impugnazione, seppure nell’ambito dello stesso giudizio, qualora il provvedimento di aggiudicazione della gara, sia sopraggiunto quando il giudizio ex art 120 comma 6 bis non sia ancora definito”, tale aggravio processuale ed economico comunque non risulta temperato dalla possibilità di ricorrere all’istituto dei motivi aggiunti.

In relazione ai principi di matrice europea gli artt. 6 e 13 della CEDU riconoscono il diritto ad un giusto ed effettivo processo (a livello sostanziale dunque) garantendo una tutela per il tramite di “un’adeguata qualificazione della situazione giuridica soggettiva da proteggere” ed una tutela processuale basata sulle tre componenti fondamentali del principio di effettività: pienezza, completezza della tutela e ragionevole durata del processo. Infine, l’art 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea prevede il diritto ad “un ricorso effettivo davanti ad un giudice” allorquando vengano violati i propri diritti e le proprie libertà.

Nell’ambito degli appalti, l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, modificato dall’art. 1 Dir. 2007/66/CE, stabilisce che “gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Dir. 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace”. L’art 1[5] di questa, recante l’ambito di applicazione ed accessibilità delle procedure di ricorso, cristallizza i principi di efficacia, celerità, non discriminazione ed accessibilità, identificabili con l’effettività e la satisfattività sul piano nazionale. In particolare, al terzo comma dell’articolo, il principio di effettività della tutela viene collegato alla nozione di interesse, imponendo agli Stati membri di fornire un sistema di giustizia che “garantisca un utile accesso a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione”.

Pertanto, il principio di efficacia assume quale presupposto che l’azione sia diretta a soddisfare un interesse attuale e concreto del ricorrente, il quale agisce per tutelare la lesione al “bene della vita” costituita dall’aggiudicazione della gara[6]. La tutela giurisdizionale dunque “può e deve” esserci solo in presenza di una lezione (di un diritto o di un interesse legittimo) seguita dall’interesse concreto ed attuale ad una pronuncia dell’organo giudiziario.

Il legislatore non potrebbe mai imporre al privato cittadino di azionare lo strumento processuale prima che detta lesione concreta e attuale di un diritto o di un interesse legittimo sia reale ed effettiva”. Non vi è rispetto del principio di effettività sostanziale allorquando “la possibilità di contestare le decisioni delle amministrazioni giudicatrici sia affidata all’iniziativa di soggetti che non hanno alcuna garanzia di poter ricavare vantaggi materiali dal favorevole esito della controversia o che addirittura potrebbero correre il rischio di favorire propri concorrenti, come potrebbe accadere qualora il ricorso contro l’atto di ammissione alla gara sia stato proposto da uno dei concorrenti poi collocati in posizione non utile ai fini dell’aggiudicazione”.

La tutela offerta dall’art 120 comma 2-bis c.p.a. è inquadrabile come tutela oggettiva poiché l’azione non si fonda su un interesse attuale e su una lesione concreta della situazione giuridica soggettiva. Al soggetto viene imposto l’azionamento della tutela giurisdizionale senza alcuna garanzia che detta iniziativa possa garantirgli una concreta utilità”, onerando così anche colui il quale avesse presentato un’offerta rivelatasi poi non competitiva al termine della selezione. Il contenzioso generato dalla presente normativa, qualificandosi come oggettivo, è dunque contrario ai principi comunitari richiamati; questi tracciano un diritto d’azione come “diritto del solo soggetto titolare di un interesse attuale e concreto che, nell’ipotesi delle gare di appalto, consiste unicamente nel conseguimento dell’aggiudicazione o, al più, quale modalità strumentale al perseguimento del medesimo fine, nella chance derivante dalla rinnovazione della gara”. Il legislatore nazionale ha reso “recessivo” il principio dell’immediatezza della lesione, derivante dal provvedimento impugnato, rispetto alla “necessaria attualità della reazione giurisdizionale” anticipandola ad un momento in cui non è ancora ravvisabile un effettivo e concreto interesse all’impugnativa.

Il TAR ravvisa anche un “danno” in capo al soggetto costretto ad adire al rito superaccelerato sia in relazione agli esborsi economici sia in relazione “alla potenziale compromissione della propria posizione agli occhi della Commissione di gara della S.A., destinataria dei plurimi ricorsi, che è chiamata nelle more del giudizio a valutare l’offerta tecnica del ricorrente; e per le nefaste conseguenze in merito al rating d’impresa disciplinato dall’art. 83 CCP, che individua come parametro di giudizio (negativo) l’incidenza dei contenziosi attivati dall’operatore economico nelle gare d’appalto”. 

In quest’ottica la normativa si presenta, inoltre, “potenzialmente idoneo a dissuadere i concorrenti da iniziative processuali anticipate rispetto al verificarsi della lesione concreta”[7]; il contrasto con il principio di effettività sostanziale appare netto allorquando la normativa nazionale stabilisce la decadenza “di motivi ricorsuali deducibili nel momento in cui l’esigenza di tutela soggettiva diviene concreta ed attuale” (ovvero con l’aggiudicazione). Secondo il Collegio, vi è anche la violazione del principio di proporzionalità secondo cui la normativa nazionale non deve eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. La scelta adottata dal legislatore è tutt’altro che quella più appropriata nonché meno restrittiva e penalizzante: questa infatti genera il “rischio una proliferazione dei ricorsi nella fase di qualificazione” oppure la rinuncia alla scelta di proporre ricorso nell’ipotesi di appalti di “non elevatissimo importo”.

Infine, imponendo a tutti i concorrenti l’impugnazione immediata delle esclusioni e delle ammissioni tramite l’immediata contestazione degli atti di ammissione, si priva l’aggiudicatario della procedura dello strumento del ricorso incidentale (da opporre a chi abbia contestato l’aggiudicazione senza possedere i requisiti di partecipazione) poiché viene sanzionata l’omessa impugnazione con la preclusione della “facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento ( anche con ricorso incidentale)”[8] .

Ulteriore profilo critico è il rischio che tale meccanismo preclusivo renda, di fatto, inattaccabili aggiudicazioni “disposte in favore di soggetti privi dei requisiti di partecipazione”: tale prospettiva è in contrasto con la  ratio dell’intera regolazione nazionale ed europea della materia, ossia con “l’esigenza di assicurare che le commesse pubbliche vengano affidate al soggetto maggiormente idoneo, esigenza alla quale il confronto concorrenziale è funzionale e che inevitabilmente rimarrebbe frustrata ove si consentisse, in forza di quello che è un meccanismo di natura meramente processuale, di tenere ferma l’aggiudicazione pronunciata a favore di un aggiudicatario che risulti non possedere i requisiti di partecipazione alla gara.”

Pertanto, con tale ordinanza il Collegio rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea i seguenti quesiti:

1) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, ostino ad una normativa nazionale, quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che, impone all’operatore che partecipa ad una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti;

2) se la disciplina europea in materia di diritto di difesa, di giusto processo e di effettività sostanziale della tutela, segnatamente, gli articoli artt. 6 e 13 della CEDU, l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 1 Dir. 89/665/CEE, 1 e 2 della Direttiva, osti ad una normativa nazionale quale l’art. 120 comma 2 bis c.p.a, che preclude all’operatore economico di far valere, a conclusione del procedimento, anche con ricorso incidentale, l’illegittimità degli atti di ammissione degli altri operatori, in particolare dell’aggiudicatario o del ricorrente principale, senza aver precedentemente impugnato l’atto di ammissione nel termine suindicato.

 

[1] Art 120 comma 2-bis del Codice del Processo Amministrativo:

Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. E’ altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività.

Comma aggiunto dall’art. 204, comma 1, lett. b), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 in attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE.

[2]Recomandations to national courts and tribunals, in relation to the initiation of preliminary ruling proceedings (2016/C 439/01)

[3]Al riguardo, non appare inutile ricordare che anche la Corte costituzionale, in relazione all’introduzione di forme celeri per la definizione delle controversie amministrative ovvero di abbreviazione dei termini ha costantemente affermato che le stesse non possano considerarsi costituzionalmente illegittime nella misura in cui venga assicurato il rispetto di alcuni valori processuali fondamentali, quali, in primo luogo, l’integrità del contraddittorio nonché la completezza e sufficienza del quadro probatorio” (C. Cost., 26.6.2007, n. 237; cfr. anche 20 luglio 2016, n. 191 e la capostipite n. 427 del 1999).

[4] Consiglio di Stato nel parere n. 855/2016, reso sullo schema originario del nuovo codice dei contratti:

“Ai fini di riequilibrio dovrebbe essere sufficiente un intervento del legislatore ordinario volto a ridurre il contributo unificato per il contenzioso a valle e, in ogni caso, a garantire la tempestiva conoscenza degli atti e della relativa motivazione” (anche, al riguardo, il parere n. 782 del 30 marzo 2017, reso sul correttivo al codice). (TAR Lazio, sez. II n. 8577/2017)

[5] “1. … Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli articoli da 2 a 2 septies della presente direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.

  1. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali.
  2. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.”

[6] “L’operatore economico al quale dev’essere assicurato un sistema di giustizia effettivo abbia e conservi un interesse all’aggiudicazione dell’appalto” (Corte di Giustizia UE 5.4.2016, C 689/13 Puligenica/Airgest spa).

[7] Secondo il TAR Piemonte Sez I “La violazione ai principi comunitari sopra richiamati, ed in particolare laddove si rende l’accesso alla giustizia amministrativa eccessivamente gravoso, si ravvisa in quanto l’attuale sistema impone a ogni ditta concorrente di:

1) impugnare il provvedimento di ammissione di tutte le altre ditte partecipanti;

2) proporre il relativo ricorso in una fase del procedimento in cui la cognizione dei documenti di gara degli altri concorrenti è resa problematica dalla disciplina dettata nell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, che al comma terzo vieta di comunicare o comunque di rendere noti gli atti di gara, l’accesso ai quali è differito all’aggiudicazione e, al suo comma quarto, rende punibile, ai sensi dell’art. 326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio), la condotta del pubblico ufficiale o degli incaricati di pubblico servizio (endiadi in cui sono compresi tutti i funzionari addetti alla procedura di gara) inosservante del divieto. La cogenza di tale incondizionato divieto, oltre a porre questioni di coordinamento con l’art. 29 cit., lascia prevedere una giustificata ritrosia dei soggetti responsabili della procedura a rendere ostensibile, oltre al provvedimento di ammissione, la documentazione amministrativa dei concorrenti, costringendo gli operatori a proporre ricorsi “al buio” ovvero, come confermato dalle già numerose pronunce intervenute sul punto, a presentare ulteriori ricorsi per l’accertamento del diritto di accesso alla documentazione necessaria per la proposizione del ricorso ex art. 120, comma 2 bis, c.p.a.;

3) formulare censure avverso ogni atto di ammissione, per evitare di incorrere nell’inammissibilità di un ricorso cumulativo (ogni ammissione potrebbe risultare affetta da vizi propri e distinti rispetto all’altra, con diversità oggettiva e soggettiva per ogni ricorso), con la necessaria proposizione di tanti ricorsi quante sono le ditte ammesse e quindi con la conseguenza di dover versare il contributo unificato per ogni ricorso (può dirsi acclarata la funzione dissuasiva all’azione giurisdizionale indotta dal cumulo di tributi giudiziari dovuti in caso di impugnazione separata degli atti di ammissione e di aggiudicazione nell’ambito della stessa procedura di gara)”.

[8] Così l’art 120 c 2-bis c.p.a.

 

Federica Gatta

Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato "Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana" , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice. Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all'età di 26 anni ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli. Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”. Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est. Da ultimo ha coordinato l'agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con "Napoli con Ruotolo", per il candidato Sandro Ruotolo. federica.gatta@iusinitinere.it - gattafederica@libero.it

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