La modifica dell’imputazione e la sentenza Battistella
Chiedendo il rinvio a giudizio, l’accusa si cristallizza andando a fissare il “thema probandum” su cui il giudice del merito dovrà pronunciarsi. Analizzando più da vicino tale procedimento ci si rende facilmente conto, di come i contorni dell’addebito possano mutare rendendo necessaria la modifica dell’imputazione trattata nello specifico a norma dell’Art. 423 c.p.p.
L’Art. 423 c.p.p. appare come un meccanismo fisiologico di correzione degli errori del PM inerenti all’imputazione che garantisce un sistema di economia processuale evitando che a causa di difformità, il PM debba esercitare una nuova azione penale permettendogli, durante la pendenza della fase dell’udienza preliminare e propriamente entro la chiusura della discussione proclamata dal GUP, di modificare quanto inizialmente imputato.
A norma del comma 1 dell’Art. 423 c.p.p “se nel corso dell’udienza, il fatto risulta diverso da come descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante [516, 517], il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione [520].”
Dal testo della norma semplicemente si evince che per i casi elencati e più propriamente : fatto diverso (fatto che presenta contrasti materiali, contenuti parzialmente difformi da quelli descritti nella richiesta di rinvio a giudizio), reato connesso o circostanza aggravante, il PM potrà e dovrà modificare l’imputazione dandone comunicazione al difensore e il giudice ne prenderà semplicemente atto.
Il comma 2 dell’Art. 423 c.p.p. non è cosi lineare : “se risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo, non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato [518]”.
Per questa fattispecie, il PM riscontrando un fatto nuovo (fatto che non figura, un accadimento assolutamente difforme da quello determinato) non potrà semplicemente modificare l’imputazione ma sarà obbligato a chiedere ed ottenere l’autorizzazione da parte del giudice previo consenso in merito dell’imputato. E se l’imputato non dovesse acconsentire, come dovrà agire? Al PM non rimarrà che esercitare una nuova azione penale.
Si pone a questo punto un problema: l’Art. 423 c.p.p. – così disciplinato – risulta manchevole di garanzie, non facendo richiamo esplicito all’Art. 519 c.p.p. Tale norma è, invece, richiamata per la modifica dell’accusa durante la fase del giudizio e garantisce all’imputato, su sua esplicita richiesta, un termine per la difesa essendogli garantita la sospensione del dibattimento da parte del presidente. E’ bene sottolineare che la giurisprudenza ritiene debba riconoscersi tale diritto pur in assenza di un esplicito richiamo a tale norma ma sul punto non esiste ancora un orientamento prevalente e concreto.
E’ stato quindi analizzato il “potere” del PM in tale fase, ma cosa può fare propriamente il GUP quando il PM non modifica l’imputazione essendo tale modifica necessaria? Escludendo che possa chiedere l’archiviazione, perché ormai l’azione penale è stata esercitata dal PM (ci troviamo qui all’interno dell’udienza preliminare), dovrà considerare di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere pronunciandosi di conseguenza sull’oggetto.
Con sentenza del 2008 – n°5037 la – Corte di Cassazione a Sezioni Unite – ha statuito che il GUP quando l’imputazione è generica, deve invitare il PM a modificarla a norma dell’Art. 423 c.p.p. e solo in caso di un suo rifiuto può disporre la trasmissione degli atti a quest’ultimo al fine di esercitare una nuova azione penale. La Cassazione dichiara quindi – abnorme – il provvedimento del Gup che preventivamente all’invito restituisca gli atti al PM. La Corte sottolinea in tale sentenza come il rimedio che opera all’interno dell’udienza preliminare, sia un rimedio di tipo correttivo e non sanzionatorio avendo tale udienza, il compito di verificare la correttezza dell’imputazione previamente formulata.
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.