La crisi finanziaria del 2008, da cosa è stata scatenata?
Sono passati 10 anni ormai, ma ancora ne paghiamo le conseguenze: la bancarotta della banca d’affari statunitense Lehman Brothers e il collasso della più grande compagnia di assicurazioni del mondo, la AIG, hanno scatenato una crisi finanziaria di portata mondiale nel 2008. Il risultato, infatti, è stato una recessione globale che è costata al mondo decine di migliaia di miliardi di dollari rendendo disoccupate 30 milioni di persone.
Ma cosa ha generato questa crisi?
La crisi è stata causata da un’industria fuori controllo: l’industria finanziaria.
Dopo la grande depressione[1], gli Stati Uniti d’America hanno vissuto 40 anni di crescita economica senza alcuna crisi finanziaria. Il sistema finanziario era strettamente controllato, la maggior parte delle banche erano banche locali ed era proibito speculare con i risparmi dei clienti.
Le banche di investimento che si occupavano di stock e obbligazioni erano delle piccole società private.
Negli anni ottanta l’industria finanziaria esplose: le banche di investimento divennero pubbliche, ricevendo enormi quantità di denaro dagli azionisti, e si inizio un lungo processo di deregolamentazione[2].
L’amministrazione Reagan supportata dai maggiori economisti e lobbisti finanziari cominciò un periodo trentennale di deregolamentazione finanziaria. Nel 1982 deregolamentò le compagnie di risparmio e prestiti, permettendogli di fare degli investimenti rischiosi con i risparmi dei clienti, ma alla fine del decennio centinaia di compagnie di risparmi e prestiti fallirono.
Questo, però, non arresto il processo di deregulation, che continuo con l’amministrazione Clinton e così, alla fine degli anni ’90, il settore finanziario si consolidò in pochi ma enormi società, cosi grandi che il loro fallimento avrebbe potuto minacciare l’intero sistema.
George Soros, in un’intervista ci spiega l’importanza della regolamentazione così: “il mercato è naturalmente instabile o almeno potenzialmente instabile. Le petroliere sono una metafora appropriata: sono molto grandi e quindi hanno bisogno di scompartimenti per evitare che, una volta in mare, il petrolio, in movimento all’interno, la rovesci. Il progetto della nave deve tenerlo presente, così nel sistema finanziario, dopo la grande depressione, le regolamentazioni finanziarie introdussero questi scompartimenti a prova d’acqua, la deregolamentazione ha portato alla fine della compartimentazione, esponendosi al rischio del naufragio.”
La deregolamentazione e l’avanzamento tecnologico portarono all’esplosione di complessi prodotti finanziari chiamati strumenti derivati[3].
Con i derivati i banchieri virtualmente possono giocare d’azzardo su tutto, possono, cioè, scommettere sull’aumento del prezzo del petrolio, la bancarotta di una compagnia o addirittura le previsioni del tempo.
Alla fine degli anni ‘90 i derivati facevano parte di un mercato non regolato da 50 miliardi di miliardi di dollari. Nel 1998 venne pubblicata una proposta per regolare i derivati, ma fu respinta prima dall’amministrazione Clinton e poi dal congresso. Nel 2000 fu approvato un disegno di legge che esentava tutti i derivati dalla regolamentazione: il congresso approvò, infatti, il Commodity Futures Modernization Act (CFMA) scritto con l’aiuto di lobbisti dell’industria finanziaria, il quale bandiva la regolazione di tutti i derivati.
Così l’uso dei derivati esplose. Quando Bush divenne presidente, nel 2001, il settore finanziario statunitense era diventato molto più redditizio, concentrato e potente. A dominare questa industria c’erano 5 banche di investimento (Goldman Sachs; Morgan Stanley; Lehman Brothers; Merrill Lynch, Bear Stearns), 2 conglomerati finanziari (Citigroup; Jp Morgan), 3 compagnie assicurative (Aig; Mbia; Ambac) e 3 agenzie di rating (Moody’s; Standard & Poor’s; Fitch). A legarle insieme c’era la catena alimentare della cartolarizzazione, che connetteva miliardi di dollari in mutui e altri prestiti con investitori di tutto il mondo.
La cartolarizzazione permetteva agli istituti creditizi di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in un titolo, a soggetti terzi (le cosiddette “società veicolo[4]”) e di recuperare immediatamente buona parte del credito che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine dei mutui stessi.
Questo sistema ha consentito alle banche, apparentemente, di liberarsi del rischio di insolvenza dei prenditori dei fondi e ha indebolito l’incentivo a valutare correttamente l’affidabilità dei clienti. Le società veicolo, dal canto loro, finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati mediante l’offerta agli investitori di titoli a breve termine.
In breve, con la cartolarizzazione, chi concedeva il prestito non si esponeva più al rischio di insolvenza.
Nel vecchio sistema, quando un proprietario di una casa pagava il mutuo, ogni mese i soldi tornavano nelle tasche del creditore e, poiché si impiegavano anni per ripagare il mutuo, i creditori prestavano i soldi con attenzione. Con il nuovo sistema, i creditori potevano vendere il mutuo alle banche di investimento, esse combinavano migliaia di mutui e altri prestiti, inclusi i pagamenti per le auto, le rate scolastiche e i debiti delle carte di credito, per creare dei complessi derivati chiamati Collateralised Debt Obligation, ovvero CDO. Le banche l’investimento vendevano i CDO agli azionisti, così quando i proprietari di una casa pagavano il mutuo i soldi andavano ad azionisti sparsi in tutto il mondo. In questo confuso sistema poi, le banche di investimento pagavano le agenzie di rating per valutare i loro CDO. Molti di loro ricevevano come rating una tripla A, il grado di investimento più alto possibile.
Ma questo sistema era una vera e propria bomba ad orologeria: ai creditori non importava più se il mutuario poteva ripagare il debito, quindi cominciarono a fare prestiti più rischiosi; ma neanche alle banche di investimento importava, perché più CDO vendevano e più alti erano i profitti; inoltre le agenzie di rating, pagate delle banche di investimento, non avevano alcuna responsabilità se le loro valutazioni dei CDO si rivelavano false.
All’inizio degli anni 2000 ci fu un enorme incremento di prestiti rischiosi, chiamati subprime[5], ma quando migliaia di prestiti subprime furono combinati, per creare CDO, molti di loro ricevettero come voto una tripla A. Così tra il 2000 e il 2003 il numero di prestiti per i mutui quadruplicò.
Improvvisamente centinaia di migliaia di dollari ogni anno passavano attraverso la catena di cartolarizzazione. Dato che chiunque poteva ottenere un mutuo, la compravendita e i prezzi delle case salirono alle stelle, il risultato fu la più grande bolla speculativa della storia.
I profitti iniziali furono altissimi, ma non erano profitti reali erano soldi che venivano creati dal sistema e considerati profitti, ma che dopo 2 o 3 anni in seguito al fallimento nel ripagare il debito il profitto veniva cancellato.
Durante la bolla le banche di investimento prendevano molti soldi in prestito per comprare più prestiti e creare più CDO. Il rapporto tra i soldi presi in prestito e i soldi delle banche si chiama rapporto di indebitamento, più prestiti ricevevano le banche e più alto era questo rapporto. Nel 2004, addirittura, si approvò un aumento dei limiti del rapporto di indebitamento permettendo alle banche di avere ulteriori prestiti.
Rapporto di indebitamento delle banche principali statunitensi era di 33 a 1. Ciò consentiva loro di realizzare profitti molto elevati, ma le esponeva anche al rischio di perdite ingenti. Un rapporto così elevato comporta che anche solo la diminuzione del 3% del proprio patrimonio di base avrebbe potuto portare all’insolvenza.
C’era un’altra bomba ad orologeria pronta ad esplodere: la AIG, la più grande compagnia assicurativa del mondo, nello stesso periodo stava vendendo quantità di derivati chiamati Credit Default Swap[6] (CDS). Per gli investitori che possedevano CDO i CDS funzionavano come una polizza assicurativa.
Se i CDO perdevano il suo valore, la AGI prometteva di pagare l’investitore per le sue perdite, ma a differenza delle normali assicurazioni gli investitori potevano anche comprare dei CDS dalla AGI per poter scommettere sulle CDO che non possedevano.
Nelle assicurazioni si può assicurare solo quello che si possiede, l’universo degli strumenti derivati invece permette a chiunque di assicurare qualunque cosa, così se si presenta l’evento avverso, il numero delle perdite nel sistema diventa esponenzialmente maggiore.
In più, dato che i CDS erano stati deregolamentati, la AGI non fu obbligata a mettere da parte dei soldi per coprire le eventuali perdite, anzi la AGI dava ai suoi impiegati dei ricchissimi bonus non appena i contratti venivano firmati, ma quando i CDO iniziarono a perdere valore, la AGI doveva pagare i risarcimenti.
Ma nella pratica cosa succedeva?
Chiunque volesse acquistare una casa accendeva un mutuo. I mutuatari prendevano in prestito in media il 99,3% del valore della casa, per cui non avevano soldi propri investiti nella casa, quindi se qualcosa fosse andata storta avrebbero dovuto solo abbandonare il mutuo. Appare evidente che il rischio di insolvenza già a questo stadio sia elevatissimo, per cui parliamo di prestiti molto rischiosi (subprime). A questo punto le banche di investimento prendevano una certa quantità di questi prestiti, li combinavano tra loro, li trasformavano in titoli e li scambiavano nel mercato dei derivati sotto il nome di CDO, questi, nonostante fossero un bacino di prestiti ad alto rischio, venivano valutati dalle agenzie di rating come investimenti del tipo AAA, cioè erano considerati titoli sicuri come titoli di stato.
Alla fine del 2006, la Goldman Sachs era un passo avanti: non solo vendeva CDO, ma aveva iniziato a scommettere contro di esse mentre allo stesso tempo le spacciava ai clienti come investimenti di alta qualità.
Nel 2008 i pignoramenti delle case raddoppiarono e il sistema della cartolarizzazione implose. Gli investitori non poterono più vendere i propri prestiti alle banche di investimento e i prestiti persero valore, cosi cominciarono i fallimenti.
Il mercato delle CDO collassò lasciando le banche di investimento con centinaia di miliardi di dollari in prestiti, CDO e immobili che non potevano vendere.
Il 12 settembre del 2008 la Lehman Brothers aveva finito i soldi e tutta l’industria bancaria stava affondando velocemente, fu convocato un meeting con gli amministratori delegati delle maggiori banche per salvare la Lehman, ma non si raggiunse un accordo. Così dopo due giorni la Lehman Brothers dovette dichiarare bancarotta. Questo causò un collasso nel mercato della commercial paper[7] da cui dipendevano molte compagnie per pagare gli stipendi.
Inoltre, la AIG doveva 13 miliardi di dollari ai proprietari di CDS, e non aveva fondi, ma al contrario della Lehman Brothers fu aiutata dagli enti governativi e riuscì a pagare i propri debiti.
Nonostante gli aiuti governativi di 700 miliardi di dollari emanati dal presidente Bush i mercati mondiali continuavano a crollare e non si riuscì a bloccare l’ondata di licenziamenti e pignoramenti. La disoccupazione americana e europea aumentò fino al 10%.
Negli anni la globalizzazione ha fatto il suo corso, ai giorni nostri le economie sono tutte collegate ed è stato proprio questo il motivo dell’espansione estrema di questa crisi, che non ha risparmiato nessuno. Mentre le cause, come abbiamo visto, sono state diverse, ma tutte concatenate da un unico filo rosso: la mancanza di prospettiva futura, la voglia di puntare a obiettivi di breve termine e a profitti immediati, non considerando le conseguenze.
[1] Crisi del 1929.
[2] Deregulation: Eliminazione di norme e vincoli legislativi o amministrativi imposti ad una certa attività spec. economica.
[3] Gli strumenti finanziari derivati sono contratti il cui valore dipende dall’andamento di un’attività sottostante nota anche come “underlying asset”. Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come ad esempio i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come ad esempio il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, ecc).
[4] Le società veicolo (Special purpose vehicle – SPV – e conduit) presentavano all’attivo gli impieghi a medio e lungo termine ceduti dalle banche e al passivo titoli a breve termine (le cosiddette Asset backed commercial paper – ABCP), garantiti dalle attività bancarie cedute e assistiti da linee di liquidità messe a disposizione dalle banche stesse. (Consob
[5] Prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio.
[6] È un contratto con il quale il detentore di un credito (protection buyer) si impegna a pagare una somma fissa periodica, in genere espressa in basis point rispetto a un capitale nozionale, a favore della controparte (protection seller) che, di converso, si assume il rischio di credito gravante su quella attività nel caso in cui si verifichi un evento di default futuro ed incerto (credit event).
[7] Strumento finanziario a breve termine, costituito da un pagherò cambiario non garantito emesso da un’impresa privata con scadenza massima a 270 giorni e negoziato a sconto.
Claudia Addona nasce a Benevento nel 1993.
Dopo aver conseguito la maturità scientifica, si laurea in Scienze Aziendali nel 2017, all’università La Sapienza di Roma, con tesi in Marketing.
Nel gennaio 2020 consegue la laurea magistrale con il massimo dei voti in Finanza e Assicurazioni, sempre presso l’università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Collabora dal 2017 con Ius in Itinere in seguito alla nascita della nuova area Banking&Finance, di cui ne diventa responsabile nel 2018.
La curiosità e la determinazione sono ciò che le permettono di dare il meglio in tutto ciò che fa.
Email: claudia.addona@gmail.com