Che cosa si intende per giustizia riparativa?
La giustizia riparativa può essere intesa come un generale ripensamento del sistema penale, così come lo conosciamo. Si parla di “ripensamento” in quanto la giustizia riparativa mette in discussione (senza negarli) i presupposti del nostro sistema. Essa ha avuto il merito di rispondere a due interrogativi che hanno sempre accompagnato, senza sosta, il sistema delle pene: è possibile reagire al reato in modo non prettamente ritorsivo? È possibile coinvolgere anche i soggetti direttamente implicati?[1] La base per la ricostruzione di un nuovo sistema è stata, dunque, la critica mossa contro quello attuale. In breve, si può affermare che il sistema penale italiano sia eccessivamente spersonalizzante e tecnicistico[2]. Posto questo, la giustizia riparativa è finalizzata ad offrire un’alternativa, un punto di vista diverso.
Il reato, nella sua nuova accezione, è inteso come conflitto tra esseri umani. È una lesione altrui e l’obiettivo è, quindi, quello di porre rimedio a tale lesione, attraverso la partecipazione attiva dei soggetti coinvolti alla commissione del delitto. Il fine ultimo è la ricerca di una soluzione, quantomeno, condivisa fra le parti. Tale ultima caratteristica conferma il fulcro della giustizia riparativa: un sistema partecipativo e inclusivo.
Partecipare significa permettere al reo di dimostrare di essere altro e più rispetto all’autore della condotta lesiva. Significa permettergli di rendersi conto del danno causato e provare a “sistemare le cose”. Dialogo e confronto tra offensore, vittima ed entourage della vittima diventano la chiave risolutiva ed alternativa alla mera esecuzione della pena. In questo modo, diventa possibile ripristinare la lacerazione provocata al tessuto sociale proprio partendo dal tessuto stesso. Se questo è vero, allora si può dire che attraverso la giustizia riparativa si sia abbandonata la visione esclusivamente procedimentale del sistema penale e se ne sia approcciata una che dà maggiore attenzione alle esigenze dei soggetti coinvolti. Ecco che, in questo modo, è possibile rivendicare non solo l’elemento soggettivo, ma anche quello interpersonale, sia nella lettura del reato stesso, sia nella risposta alla commissione di quel reato[3].
In sintesi, gli elementi fondamentali della giustizia riparativa si possono così riassumere:
- Reato. Il danno causato dal reato è considerato fonte di un obbligo per l’autore del reato, il quale dovrà porre rimedio alla lesione causata con la sua condotta[4]. In capo al reo nasce una responsabilità intesa come riparazione e in capo alla vittima un vero e proprio diritto.
- Considerazione delle parti come soggetti portatori di istanze morali. La prospettiva è diversa da quella antecedente. Non prevale il tecnicismo, ma la considerazione dei bisogni dei soggetti coinvolti e dell’accaduto dal punto di vista soggettivo;
- Neutralità del luogo (fisico e figurato). Anche questo particolare è molto importante, al fine di dare successo al metodo;
- Coinvolgimento della comunità di riferimento. Un tessuto sociale non astratto, bensì concreto ed esperienziale;
- Opportunità di dialogo. È il dialogo il mezzo più importante per ripristinare un equilibrio intersoggettivo nel quale l’uno si confronti con l’altro. Ecco che la giustizia riparativa può anche essere intesa come giustizia dialogica[5].
Alla luce degli elementi sopra esposti, si può trattare la giustizia riparativa come una prassi alternativa. Nonostante si sia parlato di ripensamento, l’idea di base non è quella di negare o rinunciare alle fondamenta del sistema penale nazionale, ma quella di provocarne una riflessione. L’idea è, dunque, quella di stimolare una svolta che ponga al centro l’uomo, permanendo però sempre all’interno della dimensione giuridica, senza prescinderne.
Infine, si può concludere con le parole di Zagrebelsky, il quale si è pronunciato in merito alla giustizia riparativa: ‹‹il crimine determina una frattura nelle relazioni sociali. In una società che prenda le distanze dall’idea del capro espiatorio, non dovrebbe il diritto mirare a riparare quella frattura? Da qualche tempo si discute di giustizia riparativa, restaurativa, riconciliativa. Studi sono in corso, promossi anche da raccomandazioni internazionali. Si tratta di una prospettiva nuova e antichissima al tempo stesso che potrebbe modificare profondamente le coordinate con le quali concepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte, pur rappresentandone il lato d’un rapporto patologico[6]››.
[1] F. REGGIO, La sfida della Giustizia Rigenerativa, in Il Lascito di Atena, a cura di F. ZANUSO e S. FUSELLI, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 125-131.
[2] AA. VV., A restortive justice rader, (a cura di G. Johnstone), Cullompton, 2003.
[3] S. PAIUSCO, Giustizia riparativa: responsabilità, partecipazione, riparazione, in www.penalecontemporaneo.it, 2 febbraio 2017.
[4] F. REGGIO, Giustizia dialogica. Luci e ombre della Restorative Justice, Milano, 2010, p. 22.
[5] Id., La sfida della Giustizia Rigenerativa, ibidem, p. 157.
[6] G. ZAGREBELSKY, Che cosa si può fare per abolire il carcere, La Repubblica, 23 gennaio 2015.
Avvocato penalista, esperta in Scienze Forensi, Vice Responsible dell’area di Criminologia di Ius in Itinere.
Maria Vittoria Maggi nasce a Padova il 29/07/1992.
Dopo un percorso complesso, ma ricco, si laurea in giurisprudenza il 7 dicembre 2016 con voto 110/110, con tesi in procedura penale, dal titolo “L’esame del testimone minorenne”.
Prima della laurea, Maria Vittoria svolge uno stage di sei mesi presso il Tribunale di Trento: i primi tre mesi, svolge mansioni legate alla sistemazione dei fascicoli del giudice e alla citazione di testimoni; per i restanti tre mesi, affianca un magistrato nell’espletamento delle sue funzioni, con particolare riferimento alla scrittura dei capi di imputazione e dei decreti, alla partecipazione alle udienze, alla risoluzione di problematiche giuridiche inerenti a casi in corso di udienza.
Una volta laureata, il 7 febbraio 2017 Maria Vittoria decide di continuare il percorso iniziato in precedenza e, così, diventa tirocinante ex art. 73 d.l. 69/2013 presso il Tribunale di Trento. Durante i 18 mesi previsti di tirocinio , la stessa ha assistito un Giudice Penale partecipando alle udienze e scrivendo le motivazioni delle sentenze.
Contestualmente al primo anno di tirocinio, Maria Vittoria ha voluto approfondire in maniera più seria la sua passione. Ha, così, iniziato un Master di II livello in Scienze Forensi (Criminologia, Investigazione, Security, Intelligence) presso l’università “La Sapienza” di Roma. Ha concluso questo percorso il 16 febbraio 2018, con una votazione di 110/110L e una tesi dal titolo “L’interrogatorio e l’analisi finalizzata all’individuazione del colpevole”.
Una volta concluso anche il tirocinio in Tribunale, Maria Vittoria ha intrapreso la pratica forense presso uno studio legale a Trento, approfondendo il diritto civile. Dal 29 ottobre 2018 si è, quindi, iscritta al Registro dei praticanti dell’Ordine degli Avvocati di Trento. Dopo questa esperienza, nell’ottobre 2019 Maria Vittoria decide di frequentare anche un rinomato studio penale di Trento. Questa frequentazione le permette di completare, a tutto tondo, l’esperienza penalistica iniziata con un Pubblico Ministero, proseguita con un Giudice e conclusa con un avvocato penalista.
Il 23 ottobre 2020, Maria Vittoria si abilita all’esercizio della professione forense. Dal novembre 2020 Maria Vittoria fa, inoltre, parte di LAIC (Laboratorio Avvocati-Investigatori-Criminologi).
Collabora per le aree di Diritto Penale e Criminologia di Ius in itinere.
email: mvittoria.maggi92@gmail.com