18 Aprile 2025
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Stalking: l’inizio di un incubo

Cosa sono gli atti persecutori e come riconoscere uno stalker. Le risposte del mondo giuridico.

Stalking. Dall’inglese to stalk, letteralmente “fare la posta”, “braccare”. Espressione purtroppo a noi familiare ed entrata nel mondo giuridico grazie al decreto Maroni del 23 Febbraio 2009 n°11 , convertito, con modifiche, in legge n°38 del 23 Aprile 2009. La parola indica tutti quei comportamenti e atteggiamenti di un soggetto, lo stalker, che si manifestano in persecuzioni a danno della vittima, la quale cade in uno stato di angoscia, paura e ansia.

Sfortunatamente non è affatto raro sentir parlare di questo fenomeno e ogni giorno sono numerosi i suoi bersagli, spesso silenziosi  e indifesi. I molteplici studi condotti hanno aiutato a catalogare i comportamenti dello stalker in due tipi: le comunicazioni intrusive e persecutorie (generalmente mediante l’ausilio di internet, telefoni, lettere e altri strumenti di comunicazione)  e il contatto (lo stalker vuole controllare la sua vittima pedinandola oppure vuole avere con essa un confronto diretto). Tendenzialmente i secondi comportamenti sono la naturale conseguenza dei primi.

Sono state individuate, poi, cinque tipologie di stalker: c’è il risentito, cioè colui che ritiene di aver subito un danno o un torto e quindi si vuole vendicare; c’è  il bisognoso d’affetto, che ricerca attenzioni non necessariamente amorose ma anche d’amicizia, e non riesce a comprendere il rifiuto da parte della vittima; c’è il corteggiatore incompetente, il quale conosce la persecuzione come unico modo per farsi apprezzare; c’è il respinto, che cerca di riscattarsi da un rifiuto non gradito; ed infine c’è il predatore, il quale ha come obbiettivo avere rapporti sessuali con la vittima e gode nello spaventarla e braccarla.

Come anticipato, il mondo giuridico ha dovuto tristemente prendere atto dell’esistenza di un tale fenomeno ed ad oggi le vittime di stalking sono tutelate dall’articolo 612-bis del codice penale, con il quale è stato introdotto il reato di “atti persecutori”, che punisce “con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, sempre che il fatto non costituisca un più grave reato. L’introduzione di uno specifico reato si è resa necessaria a fronte dell’inidoneità di altre fattispecie a garantire un’ efficiente tutela delle vittime.

Innanzi tutto, la nuova fattispecie delittuosa risulta sicuramente più ampia del più grave reato di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” ex art. 572 c.p., reato proprio che può essere commesso solo da chi sia parte del contesto familiare  o di aggregazioni comunitarie equiparate dalla legge alla famiglia medesima. Al contrario, come si evince dalla lettera della norma, soggetto attivo del reato di stalking può essere chiunque, anche non avente legami di alcun tipo con la vittima, trattandosi un reato comune. Tuttavia, c’è da sottolineare come sia prevista un’aggravante a carico dell’autore del reato che sia legato alla comunità familiare della persona offesa.

Con riferimento al soggetto passivo, la norma tende a tutelare un ampio spettro di situazioni, comprendendo anche ipotesi in cui oggetto delle molestie dello stalker siano i prossimi congiunti della vittima oppure persone legate alla stessa da una relazione affettiva.

Fondamentale quando si affrontano gli studi giuridici è domandarsi sempre quale sia il bene giuridico protetto dalla norma, al fine di verificare l’efficacia della tutela legale. Nel presente caso, la risposta può facilmente essere ricavata osservando la collocazione dell’articolo  nel capo III del titolo XII, tra i delitti contro la persona. Ciò significa che il bene giuridico protetto è la libertà morale dell’individuo, intesa come la sua facoltà di autodeterminarsi. La norma, così, ambisce a tutelare e preservare la tranquillità psichica e la riservatezza della persona, dato che, stando alle parole della Cassazione Penale n° 8832 del 2011, per integrare tale fattispecie delittuosa “è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”.

Il delitto di stalking è, poi, un reato abituale, essendo richiesto ai fini della sua integrazione la reiterazione delle condotte persecutorie idonee, alternativamente, a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure ad ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La reiterazione delle condotte, insieme al grave e perdurante stato di ansia prodotto, è ciò che permette di differenziare questo delitto dalle minacce e dalle molestie.

Ma c’è di più: lo stalking è definito dalla giurisprudenza come “reato abituale di evento, a struttura causale e non di mera condotta”, caratterizzandosi per la produzione di un evento di danno, consistente proprio nell’alterazione delle abitudini di vita, nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona vicina ecc. Quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura, è stato sottolineato in giurisprudenza come non sia richiesto l’accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che le molestie dello stalker siano idonee a provocare un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio dell’individuo.

Di recente la Cassazione Penale si è pronunciata con sentenza n°35778 del 2016 chiarendo che per configurare il reato di stalking non è necessario il cambiamento delle abitudini di vita della vittima, trattandosi di un reato a fattispecie alternative. Determinanti sono solo l’ansia e il timore, e prove di tale status sono ricavabili dal comportamento della vittima e dalle sue dichiarazioni.

Elemento soggettivo del reato è il dolo generico, essendo sufficiente la volontà di porre in essere i comportamenti descritti nella norma e la consapevolezza dell’idoneità degli stessi a cagionare uno degli eventi enunciati nella medesima, mentre non è necessaria la prefigurazione del risultato finale.

Lo stalking di regola è punibile a querela della persona offesa dal reato, proponibile nel termine di sei mesi dalla consumazione del reato, coincidente con l’evento di danno. Unicamente nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso a danno di un minore o di una persona con disabilità (oppure sia connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio) si può procedere di ufficio.

Esiste, tuttavia, un’alternativa alla querela, ed è la procedura di ammonimento, tesa ad ottenere un provvedimento amministrativo col quale si invita lo stalker a desistere dalla sua attività persecutoria e molesta. La persona offesa che non abbia già presentato querela può, infatti, esporre i fatti al Questore, il quale , ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Se, nonostante l’ammonimento, lo stalker persiste nel suo comportamento, la vittima può riferirlo alle autorità competenti, le quali procederanno penalmente d’ufficio, con conseguente aumento di pena.

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