Il 29 luglio 2017 si è conclusa l’ultima fase dello sciopero che, per tutto il mese, ha coinvolto diversificate figure professionali in ambito forense, quali giudici di pace ed avvocati: la mobilitazione operata ha ancora una volta posto l’interrogativo sulla legittimità della sospensione delle udienze, ed in particolare sul rapporto tra esercizio del diritto di sciopero ed esigibilità di prestazioni pubbliche(o aventi rilevanza pubblica)indispensabili.
L’analisi più semplice è quella riguardante la titolarità del diritto soggettivo di sciopero a favore dei magistrati: occorre, infatti, preliminarmente sottolineare che, siano essi dipendenti non contrattualizzati dello Stato(giudici togati, il cui trattamento economico e normativo è interamente stabilito dalla legge)o investiti di funzioni giudicanti o requirenti senza che s’instauri un rapporto di pubblico impiego(giudici onorari), il godimento dei diritti sindacali ad opera della categoria professionale in esame è innegabile.
La conclamata legittimità dello sciopero nella magistratura si scontra, tuttavia, con la natura essenziale(in quanto costituzionalmente rilevante)delle funzioni esercitate, senza dimenticare che, ai sensi dell’art. 357 c.p., il giudice risulta rientrante nella categoria soggettiva pubblicistica dei pubblici ufficiali: rinviando al prosieguo della trattazione per il cosiddetto “sciopero nei servizi pubblici essenziali”, previsto e disciplinato dalla l. n.146 del 1990, come modificata dalla l. n.83 del 2000, si possono al momento considerare i codici di autoregolamentazione circa l’esercizio del diritto di sciopero emanati dall’ANM(Associazione Nazionale Magistrati)e dall’Unagipa(Unione Nazionale Giudici Di Pace, comprensiva anche dei giudici onorari di tribunale e dei viceprocuratori onorari).
Il codice di autoregolamentazione predisposto dall’ANM, si apre prescrivendo che il diritto dei magistrati di proclamare l’astensione totale o parziale dall’esercizio delle proprie funzioni sia esercitato in conformità ai limiti ed alle condizioni stabiliti: la proclamazione dell’astensione dalle funzioni giurisdizionali dev’essere comunicata almeno dieci giorni prima dell’inizio, con indicazione della durata e delle motivazioni, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia; l’astensione dalle attività giudiziarie non può superare i tre giorni consecutivi, e non può essere proclamato un nuovo periodo di astensione se non siano decorsi trenta giorni dalla conclusione dell’astensione precedente; salvo i limiti derivanti dalla necessità di assicurare i servizi essenziali, non sono ammesse forme parziali di astensione dalle attività giudiziarie su base distrettuale o endodistrettuale, ovvero coinvolgenti singole articolazioni interne ai vari uffici.
Il codice di autoregolamentazione targato ANM indica anche quali siano i procedimenti per i quali sia fissato un divieto di astensione: in materia civile e del lavoro il divieto di astensione è limitato ai processi relativi ai licenziamenti e ai procedimenti sommari di natura cautelare, inclusi quelli previsti dalle leggi speciali in tema di repressione delle condotte antisindacali e discriminatorie; in materia penale l’astensione non è consentita nei procedimenti e processi con imputati detenuti: non è altresì consentita in relazione al compimento degli atti urgenti previsti dall’art. 467 c.p.p., o ai procedimenti e processi relativi ai reati per cui è imminente la prescrizione o, se pendenti in Cassazione maturi nei successivi 90 giorni; in materia di sorveglianza l’astensione è consentita solo relativamente ai procedimenti concernenti i condannati in fase di sospensione dell’esecuzione, e alle attività non aventi carattere processuale.
Hanno natura cautelare ed urgente tutte le controversie, civili o penali, in cui l’efficacia di un provvedimento decada se non convalidato o confermato entro termini perentori; debbono altresì essere sempre assicurati gli adempimenti urgenti ed indifferibili dei Pubblici Ministeri.
Il codice di autoregolamentazione approvato dall’Unagipa, invece, elenca le seguenti condizioni di esercizio per l’astensione totale o parziale dalle udienze e dalle attività amministrative connesse: la proclamazione deve essere comunicata per iscritto almeno dieci giorni prima dell’inizio dell’astensione ai presidenti delle Corti d’appello ed al Ministro della giustizia, con l’indicazione della relativa motivazione; la revoca dall’astensione può avvenire almeno cinque giorni prima della data prevista per l’astensione, salvo il caso che l’Unione Nazionale Giudici di Pace sia convocata dalla Commissione di garanzia per l’attuazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, dal Ministro della giustizia, dal CSM o da altre autorità competenti; in caso di revoca anticipata dalle astensioni l’Unione Nazionale Giudici di Pace ne da immediata comunicazione ai presidenti delle Corti d’appello ed al Ministro della giustizia, anche ai fini della divulgazione tramite la RAI, la stampa e le reti radiotelevisive di maggiore diffusione.
Il codice di autoregolamentazione Unagipa prevede limitazioni temporali differenti, a seconda se l’astensione concreta sia totale o parziale: l’astensione totale dalle attività giudiziarie non può superare quindici giorni, e non può essere proclamato un nuovo periodo di astensione se non siano trascorsi almeno dieci giorni dalla conclusione del precedente periodo di astensione; l’astensione parziale dalle udienze che assicuri l’effettuazione di almeno una udienza settimanale, invece, non può superare quattro settimane consecutive, e non può essere proclamato un nuovo periodo di astensione parziale se non sono trascorsi almeno dieci giorni dalla conclusione del precedente periodo di astensione.
Entrambi i codici di autoregolamentazione devono essere compatibili con la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali: intervenuta nella sua prima formulazione nel 1990, sul sentiero tracciato dalla giurisprudenza costituzionale e dall’autoregolamentazione sindacale, tale normativa identifica come servizi pubblici essenziali “quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”(art. 2, 1° comma); il 2° comma prosegue nell’affermazione della significatività di tali diritti, sottolineando la necessità di elaborare “regole da rispettare e procedure da seguire in caso di conflitto collettivo per assicurare l’effettività, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, limitatamente alle prestazioni individuate come indispensabili”. L’amministrazione della giustizia risulta esplicitamente inclusa nella nozione di servizio pubblico essenziale.
La l. n.146 del 1990 ha istituito una delle più risalenti autorità amministrative indipendenti, la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali: tra i compiti ad essa assegnati compaiono la ratifica dei codici professionali di autoregolamentazione; la formulazione di un proprio giudizio, di propria iniziativa o a domanda unitaria delle parti, su questioni attinenti all’interpretazione ed all’applicazione del contenuto dei codici in parola; la risoluzione di controversie relative al predetto contenuto tramite un lodo, dietro richiesta congiunta delle parti.
Il codice di autoregolamentazione della classe forense dei magistrati onorari prevede un’ulteriore coinvolgimento della Commissione di garanzia: questa infatti, assieme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed eventualmente ad un Ministro delegato, costituisce la sede nella quale l’Unione Nazionale Giudici Di Pace attiva, prima della declamazione dello sciopero, procedure di conciliazione o di raffreddamento volte alla composizione del conflitto collettivo.