21 Aprile 2025
21 Aprile 2025

Riforma Cartabia e Arbitrato: un possibile nuovo slancio per la risoluzione delle controversie e la deflazione del contenzioso civile

a cura di Roberta Chicone e Emanuele Cufalo 

ALCUNI DATI DI CONTESTO

La fiducia nel sistema giudiziario costituisce uno dei più rilevanti misuratori del grado di attrattività delle economie nazionali nell’attuale contesto globale.

A dispetto della sua riconosciuta tradizione giuridica il modello italiano non si colloca certamente tra gli esempi virtuosi del panorama internazionale, tantomeno alla luce dei tempi e dei costi della giustizia civile ordinaria, sui quali incidono in maniera determinante diffuse criticità strutturali (fra cui la carenza di risorse umane e strumentali) ben note non solo a commentatori ed operatori del diritto, ma anche a cittadini, imprese ed investitori che del “sistema giustizia” si servono.

I dati compendiati nell’ultimo rapporto della Commissione per l’Efficacia della Giustizia del Consiglio d’Europa, prima dell’esplosione della pandemia da Covid-19, confermavano l’Italia tra le peggiori realtà europee quanto a tempistiche di definizione delle controversie civili pendenti presso gli uffici giudiziari.

L’interruzione delle attività imposta dalla pandemia ha poi sostanzialmente neutralizzato i lievi progressi conseguiti nel quinquennio precedente, facendo registrare un significativo peggioramento del c.d. disposition time[1], principale parametro adottato dalla Commissione allo scopo di porre a raffronto le performance dei singoli sistemi giudiziari europei.

Tale contesto ha chiaramente rafforzato l’interesse per metodi risolutivi delle controversie alternativi al processo civile: tra tali soluzioni spicca ormai da tempo lo strumento dell’arbitrato, che si conferma un’opzione capace di offrire numerosi vantaggi in termini di celerità, flessibilità e riservatezza (meno in termini economici) e che, come tale, è stato (anch’esso) oggetto della recente “riforma Cartabia”.

Ed infatti, per rispettare i target definiti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (ed in particolare la riduzione complessiva del disposition time in misura non inferiore al quaranta per cento), la riforma ha realizzato un riassetto formale e sostanziale (non solo della disciplina del processo civile di cognizione e d’esecuzione, ma anche) degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

L’art. 3, commi 51-56, del decreto legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022, ha introdotto alcune sostanziali modifiche in relazione alla disciplina dell’arbitrato, effettive per i procedimenti instaurati a decorrere dal 28 febbraio 2023,  in particolare in tema di garanzie di imparzialità ed indipendenza dell’arbitro, potere degli arbitri di concedere misure cautelari e traslatio iudicii[2].

Pur non essendo mancate le opinioni di chi – anche tra gli interpreti più autorevoli[3] – ha intravisto nell’intervento legislativo una mera rivisitazione settoriale o una più modesta “miniriforma”, appare francamente difficile negare, ad avviso di chi scrive, che tale intervento rappresenti un ulteriore passo avanti sulla strada della razionalizzazione del nostro sistema-giustizia.

LA CAUTELA IN AMBITO ARBITRALE

Non vi è dubbio che le modifiche in tema di potere cautelare degli arbitri rappresentino il cambiamento di maggiore rilievo sistematico nel contesto della recente riforma arbitrale.

In linea di estrema sintesi, il legislatore della riforma[4] ha: (i) sostituito il previgente articolo 818 del codice di procedura civile con tre disposizioni recanti la disciplina generale della potestà cautelare degli arbitri, ossia il nuovo articolo 818 e gli articoli 818-bis e 818-ter cod. proc. civ.; e (ii) modificato due disposizioni del rito cautelare (gli articoli 669-quinquies, primo comma, e 669-decies, terzo comma, cod. proc. civ.) per finalità di coordinamento sistematico.

Ai sensi del novellato articolo 818 c.p.c.: «Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669».

L’intervento ha certamente il pregio di allineare il nostro ordinamento ai numerosi sistemi stranieri[5] che riconoscono ormai da tempo (in alcuni casi da decenni) un generale potere cautelare in capo agli arbitri, colmando un divario ritenuto anacronistico ed ingiustificato da buona parte dei commentatori[6].

La nuova formulazione della norma introduce una potestà cautelare di portata generale, che si affianca al potere di sospendere le delibere societarie originariamente regolato dall’articolo 35 del D.lgs. n. 5/2003 (oggi confluito nell’articolo 838-ter cod. proc. civ.), segnando in questo modo una radicale inversione di tendenza rispetto alla disciplina previgente, in forza della quale era espressamente inibita agli arbitri la possibilità di concedere sequestri ed altri provvedimenti cautelari di qualsivoglia tipologia.

Va immediatamente precisato che il potere di concedere misure cautelari non è connaturato alla semplice esistenza di una procedura arbitrale, ma è riconosciuto agli arbitri a condizione che siano le parti ad attribuirlo, sempre che tale attribuzione trovi riscontro nella convenzione di arbitrato o in un atto scritto antecedente all’avvio del procedimento, anche mediante il semplice rinvio ai regolamenti adottati dall’istituzione arbitrale prescelta.

Il contenuto della convenzione o dell’atto scritto non soggiace a limitazioni specifiche, di talché le parti (sempre mediante espressione esplicita o facendo riferimento a regolamenti predefiniti) saranno non solo libere di conferire agli arbitri poteri cautelari esattamente sovrapponibili a quelli di competenza del giudice ordinario, ma anche di apportare restrizioni all’esercizio del potere cautelare, se del caso limitandolo alla concessione di misure preventivamente individuate.

Ulteriore connotato della nuova competenza cautelare degli arbitri è il suo carattere esclusivo, ossia non concorrente col potere cautelare dei giudici statali, quantomeno a far data dall’insediamento dell’organo arbitrale.

In questo senso la legge delega ha dettato un preciso criterio direttivo volto a conservare la competenza cautelare del giudice ordinario rispetto alle misure richieste in data anteriore all’accettazione dell’arbitro unico (o alla costituzione del tribunale arbitrale), come confermato dalla Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 149/2022, ove si legge che: «le modifiche intendono evitare pericolose sovrapposizioni e duplicazioni di tutela, sostanzialmente riconoscendo che, mentre prima dell’instaurazione del processo arbitrale, la competenza a emanare provvedimenti cautelari continua a rimanere appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, una volta che il processo arbitrale sia iniziato e l’organo arbitrale si sia regolarmente costituito (in modo tale da consentire una sollecita risposta alla richiesta di tutela cautelare formulata dalla parte), o comunque, nel caso di arbitro unico, questi abbia accettato la nomina, ove le parti abbiano inteso attribuire agli arbitri tale potere, lo stesso viene attribuito integralmente e in via esclusiva agli stessi arbitri. Non vi può dunque essere, in queste ipotesi, una potestas concorrente tra arbitri e giudici ordinari».

Ne consegue che la parte interessata a richiedere tutela cautelare dopo l’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale dovrà necessariamente rivolgersi alla medesima autorità arbitrale, ma prima di tale momento sarà ancora tenuta a sottoporre la propria domanda al giudice competente in base all’articolo 669-quinquies del codice di rito, ovvero il giudice astrattamente competente a conoscere del merito secondo le ordinarie regole di procedura.

Il provvedimento cautelare emesso dall’arbitro, sia esso di accoglimento o di rigetto della misura richiesta, è poi reclamabile ai sensi dell’articolo 818-bis cod. proc. civ., norma che si affianca all’articolo 818 appena commentato.

A differenza delle decisioni cautelari emesse dal giudice ordinario, per le quali è competente il Tribunale del medesimo luogo in composizione collegiale, la competenza a decidere del reclamo avverso gli omologhi provvedimenti assunti dagli arbitri è attribuita alla Corte di appello nel cui distretto si trova la sede dell’arbitrato.

L’iter procedurale applicabile è quello delineato dall’articolo 669-terdecies, cui l’articolo 818-bis fa espressamente rinvio, cosicché: (i) il reclamo contro il provvedimento cautelare emesso dall’arbitro può essere presentato entro e non oltre quindici giorni dalla sua pronuncia in udienza, dalla sua comunicazione alle parti o dalla sua notificazione, se anteriore; (ii) il reclamo non sospende ex se l’esecuzione del provvedimento, ma il reclamante può richiedere al presidente della Corte di accordare una sospensione quando per motivi sopravvenuti il provvedimento reclamato arrechi grave pregiudizio alla parte istante; (iii) il procedimento di reclamo si svolge in camera di consiglio secondo la disciplina di cui agli articoli 737 e 738 cod. proc. civ.; (iv) convocate le parti, il collegio si pronuncia non oltre venti giorni dal deposito del ricorso con ordinanza non impugnabile.

Una sostanziale differenza rispetto all’ordinario reclamo cautelare concerne gli aspetti sostanziali della relativa domanda: il reclamo avverso i provvedimenti assunti dagli arbitri è infatti proponibile solo sulla scorta dei motivi di cui all’articolo 829, comma 1, in quanto compatibili, ferma restando la possibilità di reclamare il provvedimento anche per ragioni di contrarietà all’ordine pubblico.

Viene in sostanza a crearsi un parallelo tra il trattamento del lodo che definisce la causa ed il trattamento del provvedimento che decide sull’ istanza cautelare[7].

La scelta di vincolare il reclamo ai medesimi motivi di impugnazione del lodo arbitrale, inoltre, conferisce al provvedimento assunto dagli arbitri una maggiore stabilità rispetto alle decisioni cautelari assunte dai giudici ordinari, sia perché i motivi di impugnazione elencati all’articolo 829 cod. proc. civ. non consentono alla Corte di appello di riesaminare il merito della decisione, sia perché la casistica dei provvedimenti connotati da profili di contrarietà all’ordine pubblico appare statisticamente limitata [8].

Completa il quadro della disciplina attributiva dei poteri cautelari in ambito arbitrale l’articolo 818-ter cod. proc. civ.

La norma precisa che l’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri ha luogo secondo la disciplina generale dell’articolo 669- duodecies, e dunque sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è stabilita la sede dell’arbitrato o del tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata (se la sede dell’arbitrato non è in Italia), restando salve le specifiche modalità di attuazione indicate dagli articoli 677 e segg. nel caso in cui si debba procedere all’esecuzione di sequestri.

Come rilevato da diversi interpreti l’articolo 818-ter rappresenta un completamento necessario e doveroso dell’impianto normativo, tenuto conto, per un verso, dell’impossibilità di attribuire agli arbitri (in quanto giudici privati) poteri coercitivi di attuazione della misura cautelare, e per altro verso della necessità che le misure cautelari concesse dagli arbitri siano comunque passibili di attuazione[9].

Un cenno conclusivo merita l’articolo 669-decies cod. proc. civ., recante la disciplina della revoca e della modifica dei provvedimenti cautelari, come da ultimo modificato conseguentemente ai nuovi poteri arbitrali.

La disposizione è stata integrata con l’inserimento di un nuovo terzo comma che riconosce anche all’arbitro il potere di procedere alla modifica o alla revoca della cautela accordata, provvedendovi alle medesime condizioni e con le medesime modalità previste per il giudice ordinario.

Specificamente l’articolo 669-decies, comma 3, del codice di rito, prevede ora che: «Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma»[10].

Gli arbitri che hanno emesso il provvedimento cautelare hanno dunque il potere di disporre la revoca o la modifica della misura per intervenuti mutamenti delle circostanze rilevanti o qualora la parte interessata alleghi e provi l’esistenza di fatti anteriori di cui ha acquisito conoscenza successivamente all’emanazione del provvedimento cautelare, in base alla regola generale delineata dall’articolo 669-decies, comma 2, cod. proc. civ. [11]

IMPARZIALITA’ ED INDIPENDENZA DELL’ARBITRO

Al fine di incoraggiare il ricorso alle procedure arbitrali amministrate sul territorio nazionale la riforma ha inteso consolidare le tutele di imparzialità ed indipendenza dell’arbitro intervenendo su due differenti versanti.

Sotto un primo profilo, si è provveduto ad arricchire le opzioni di ricusazione a disposizione delle parti, integrando nel testo dell’articolo 815 cod. proc. civ. una formula di chiusura che ricomprende nell’alveo delle circostanze rilevanti: «altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull’indipendenza o sull’imparzialità dell’arbitro», le quali si collocano accanto ai casi tipici di mancanza di terzietà già previsti dalla norma.

La ratio della modifica, invero abbastanza evidente, consiste nell’assicurare una maggiore trasparenza al rapporto tra le parti del procedimento arbitrale e gli arbitri, con l’obiettivo di giungere alla formazione di una vera e propria classe di “giudici privati imparziali”, tenuti a giudicare in assenza di condizionamenti o influenze di qualsivoglia tipologia e natura esattamente al pari dei loro omologhi statali.

L’innovazione riprende essenzialmente quanto stabilito nell’ultimo comma dell’articolo 51 cod. proc. civ. relativamente all’astensione dei magistrati, con una formulazione tendenzialmente idonea ad incorporare ogni fattispecie ipoteticamente rilevante per la verifica del potenziale conflitto di interessi.

Al rafforzamento dei profili di imparzialità ed indipendenza si affianca oggi un vincolante dovere di cooperazione da parte dell’arbitro, espressamente tenuto a rendere note tutte le circostanze che possano dare adito a dubbi, ponendo le parti nella condizione di valutare adeguatamente se e in quale misura gli elementi emersi con la disclosure possano influire sul livello di terzietà del giudice privato.

Proprio in questo senso si indirizza il secondo ordine di modifiche, ossia quelle introdotte al primo comma dell’art. 813 cod. proc. civ., appositamente riformulato per indicare che l’accettazione per iscritto della nomina deve ora essere «accompagnata, a pena di nullità, da una dichiarazione nella quale è indicata ogni circostanza rilevante ai sensi dell’articolo 815, 1° comma, ovvero la relativa insussistenza». L’obbligo perdura anche in pendenza del procedimento, durante il quale la dichiarazione deve essere rinnovata in presenza di circostanze sopravvenute.

Il tenore letterale della norma suggerisce che l’arbitro nominato sia sempre tenuto a rendere la propria dichiarazione a prescindere dai suoi contenuti, tanto nel caso in cui la dichiarazione sia positiva quanto nell’ipotesi di una dichiarazione negativa, rendendo comunque palesi tutte le circostanze astrattamente rilevanti ai fini di una possibile ricusazione, anche qualora lo stesso arbitro (in caso di accettazione dell’incarico) non le reputi tali da compromettere la sua indipendenza e la sua imparzialità[12].

Venendo ai rimedi approntati in favore delle parti, è adesso previsto che nel caso di omessa o lacunosa dichiarazione la parte interessata sia legittimata a richiedere la declaratoria di decadenza dell’arbitro formulando la relativa istanza entro dieci giorni dall’accettazione o dalla scoperta delle circostanze sorpavvenute, provvedendovi con le modalità di cui al successivo art. 813-bis[13].

EFFETTI DELLA DOMANDA ARBITRALE E TRANSLATIO IUDICII

Tra le disposizioni interessate dalla recente riforma arbitrale figurano anche gli articoli 816-bis e 819-quater del codice di rito, volti a regolare gli effetti della domanda di arbitrato ed il fenomeno della c.d. translatio iudicii.

Il nuovo articolo 816-bis sancisce che: «La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall’articolo 819-quater».

Muovendo dall’equiparazione operata dall’articolo 816-bis, la disciplina introdotta dalla riforma garantisce la possibilità di preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda nei casi previsti dal nuovo articolo 819-quater, ovverosia i casi in cui l’arbitro declini la propria competenza in favore del giudice ordinario o viceversa.

Sul punto, l’articolo 819-quater cod. proc. civ., commi primo e secondo, prevede infatti che: «Il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento. Il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione.»

Presupposto necessario per la salvezza degli effetti è dunque l’instaurazione di un nuovo processo innanzi all’autorità competente su impulso delle parti processuali, e quindi:

(i) nel caso in cui il giudice ordinario abbia declinato la propria competenza, essendo necessario dare inizio ad un procedimento arbitrale, le parti saranno tenute a nominare gli arbitri o richiederne la nomina nei modi indicati dall’articolo 810 cod. proc. civ.;

(ii) nel diverso caso in cui sia l’autorità arbitrale a declinare la propria competenza o ancora quando l’incompetenza venga dichiarata con il provvedimento che definisce l’impugnazione del lodo, le parti dovranno riassumere la causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni attuative del codice di procedura civile.

Il termine entro cui le parti devono provvedere come sopra indicato è di tre mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento declinatorio della competenza, specularmente a quanto previsto dall’articolo 50 cod. proc. civ. per la riassunzione del giudizio civile.

Il terzo comma dell’articolo 819-quater, oltre a fare salvi gli effetti sostanziali della domanda, garantisce infine la salvezza delle attività processuali compiute, specificando espressamente che: «Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo. L’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo. Si applicano gli articoli 307, quarto comma, e 310»

Ne consegue che le prove raccolte nel procedimento arbitrale o ordinario potranno essere considerate quali elementi probatori nel procedimento riassunto a seguito della translatio iudicii, anche in questo caso in termini speculari a quanto previsto per la riassunzione nel giudizio civile ai sensi dell’articolo 116 del codice di procedura civile.

CONCLUSIONI

Pur non rivoluzionando il precedente assetto di disciplina, il decreto legislativo n. 149/2022 ha apportato modifiche significative all’arbitrato, in un’ottica di maggiore parificazione di tale procedimento a quello civile ordinario che non offre, invece, le necessarie (e richieste dall’Europa) garanzie di certezza, rapidità e buon funzionamento.

L’adozione di misure volte a garantire maggiore flessibilità alle parti ed implementare il ventaglio degli strumenti di tutela accessibili in ambito arbitrale, in primis mediante il riconoscimento della nuova potestà cautelare degli arbitri, è in linea con l’obiettivo di una giustizia arbitrale più versatile e su misura.

Anche gli interventi in tema di terzietà degli arbitri si pongono nel solco di un deciso ammodernamento dell’istituto e di un progressivo adeguamento alle regolamentazioni adottate in seno ad ordinamenti giuridici ed istituzioni arbitrali internazionali, che ormai da tempo hanno disciplinato con particolare rigore i doveri di indipendenza e imparzialità degli arbitri nella consapevolezza del loro impatto sulla credibilità generale del sistema.

Lo stesso può dirsi per quanto riguarda le modifiche che hanno sancito l’equiparazione degli effetti di domanda arbitrale e giudiziale e disciplinato in modo esplicito il trasferimento della domanda dalla sede arbitrale a quella giudiziale (e viceversa).

Da questa prospettiva la riforma Cartabia rappresenta certamente un passo avanti verso un sistema arbitrale più moderno e competitivo, in grado di rispondere alle esigenze di un contesto economico e sociale in evoluzione.

[1] Il disposition time è l’indice che esprime il rapporto tra procedimenti pendenti e procedimenti chiusi in un determinato anno di riferimento.

[2] Minori modifiche riguardano la scelta del diritto applicabile (art. 822 c.p.c.) ed in tema di riconoscimento ed esecuzione del lodo straniero (artt. 839 e 840 c.p.c.), agli interventi di ricollocazione e coordinamento delle disposizioni riguardanti l’arbitrato societario (artt. 838 e 838-bis c.p.c.), nonché alla riduzione a sei mesi del termine originariamente previsto per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo arbitrale (art. 828, comma 2, c.p.c.).

[3] Renato Rordorf, L’arbitrato societario dopo la “riforma Cartabia” (D.Lgs. n. 149/2022), Le Società, n. 11, 1 novembre 2023, p. 1285; Stefano Cerrato, Note sparse su arbitrato e potere cautelare alla luce della riforma Cartabia, Rivista dell’Arbitrato, fasc.1, 1 marzo 2023, p. 101.

[4] La riforma ha dato seguito alle direttive di delega dettate dall’articolo 1, comma 13, lett. c), della legge n. 206/2021, con cui è stato a affidato al Governo il compito di disciplinare: «l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario »; a ciò si aggiungeva, nel contesto della delega alla trasfusione nel codice di procedura civile delle norme relative all’arbitrato societario, la prescrizione di « prevedere altresì la reclamabilità dell’ordinanza di cui all’articolo 35, comma 5, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che decide sulla richiesta di sospensione della delibera».

[5] Fra gli ordinamenti che da tempo riconoscono il potere cautelare degli arbitri si ricordano: (i) il Canada, con il Commercial Arbitration Act; (ii) la Svizzera, con l’articolo 183 della legge federale di diritto internazionale privato; (iii) il Regno Unito, con le Section 38 e 48 dell’Arbitration Act; (iv) la Germania, con il § 1041 (1) ZPO; (v) la Spagna, con la legge arbitrale n. 60 del 2003; (vi) il Brasile, con la legge n. 13.129 del 2015; (vii) gli Stati Uniti, dove nonostante il silenzio del Federal Arbitration Act la giurisprudenza riconosce comunemente agli arbitri il potere cautelare, considerandolo implicito nella clausola compromissoria; (viii) la Francia, con l’articolo 1468 NCPC.

[6] Filippo Corsini, I poteri cautelari degli arbitri ai sensi del nuovo art. 818 c.p.c., Rivista di Diritto Processuale, n. 3, 1 luglio 2023, p. 866.

[7] Mauro Bove, Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (I parte) – La riforma dell’arbitrato, Giurisprudenza Italiana, n. 2, 1 febbraio 2023, p. 447.

[8]  Stefano Cerrato, op. cit.

[9] In questi termini, in dottrina, Mauro Bove, op. cit.

[10] I provvedimenti cui fa riferimento il nuovo comma 3 dell’art. 669-decies sono quelli previsti dal primo comma della medesima disposizione: «Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte(1), modificare o revocare(2) con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze(3) o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».

[11] Articolo 669-decies, comma 2: «Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».

[12] Mauro Bove, op. cit.

[13] Art. 813-bis cod. proc. civ.: «Se le parti non hanno diversamente convenuto, l’arbitro che omette, o ritarda di compiere un atto relativo alle sue funzioni, può essere sostituito d’accordo tra le parti o dal terzo a ciò incaricato dalla convenzione d’arbitrato(2). In mancanza, decorso il termine di quindici giorni da apposita diffida comunicata per mezzo di lettera raccomandata all’arbitro per ottenere l’atto, ciascuna delle parti può proporre ricorso al presidente del tribunale a norma dell’articolo 810, secondo comma. Il presidente, sentiti gli arbitri e le parti, provvede con ordinanza non impugnabile e, se accerta l’omissione o il ritardo, dichiara la decadenza dell’arbitro e provvede alla sua sostituzione».

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