Nota di redazione: il seguente articolo si pone in linea di continuità con il lavoro, recentemente pubblicato da Angelo D’Onofrio, che ha trattato in generale gli istituti della caparra confirmatoria e dell’acconto nel diritto civile italiano (di seguito il link). Dopo un breve riepilogo, verranno qui invece analizzati gli aspetti tributari dei suddetti strumenti in relazione alla figura del contratto preliminare e in un caso specificamente considerato.
Di frequente, quando le parti addivengono alla stipula del contratto preliminare (e nello specifico, per il tramite dell’agente immobiliare), accade che venga pattuita la corresponsione di somme a titolo di caparra confirmatoria o acconto.
Si ricordino brevemente i tratti essenziali delle due figure.
La caparra confirmatoria è disciplinata dall’articolo 1385 c.c.: quest’ultimo regola l’ipotesi in cui una parte consegni all’altra una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, appunto a titolo di caparra, per rafforzare l’impegno assunto.
Si dà il caso infatti che nell’ipotesi di adempimento dell’obbligazione e quindi di stipula del contratto definitivo, relativamente a ciò che qui interessa, la caparra sarà restituita o imputata a titolo di corrispettivo.
Al contrario, se dovesse verificarsi il caso dell’inadempimento si svilupperebbero le seguenti eventualità: se l’inadempimento è realizzato da colui che ha versato la caparra, l’altra parte potrà, ben ed a ragione, trattenerla e recedere dal contratto; se invece è posto in essere dalla parte che l’ha ricevuta, l’altra potrà recedere dal contratto ed esigere il doppio della stessa.
E si faccia attenzione nel distinguere questo tipo di caparra da quella penitenziale: quest’ultima è disciplinata dall’articolo 1386 c.c., che statuisce che “se nel contratto è stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso. In questo caso, il recedente perde la caparra data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta”.
Si può facilmente notare come, mentre la caparra penitenziale costituisca il corrispettivo dello ius poenitendi attribuito convenzionalmente ai contraenti, la caparra confirmatoria rappresenti una fattispecie di tutela per l’inadempimento di una delle parti.
L’acconto, che non trova un preciso riferimento normativo nel nostro ordinamento, costituisce invece una quota del corrispettivo pattuito e cioè, sostanzialmente per il caso di cui trattasi, un anticipo del prezzo dovuto al momento del contratto definitivo.
A differenza della caparra non potrà essere trattenuto dalle parti in caso di inadempimento, mentre, in caso di esito positivo dell’operazione, sarà imputato ovviamente alle prestazioni dovute dalle stesse.
Ebbene, è fondamentale tenere presente il regime tributario dei due diversi strumenti.
In primo luogo si dica che l’art. 21 co. 1 del DPR 131/86 prevede che: “se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto”.
Posto che si ritiene come un’ipotesi del genere si verifichi esattamente in presenza di contratto preliminare, caparra e acconto sono soggetti a imposizione in misura autonoma (oltre all’imposta di registro dovuta sul preliminare stesso).
Secondariamente, poi, si badi bene che l’imposta è imputata a quella principale di registro necessaria appunto per la registrazione del contratto definitivo: entrambe le somme saranno quindi scomputate dall’imposta dovuta per la medesima registrazione.
Ciò su cui però vogliamo spostare la nostra attenzione è la seguente previsione.
Nel caso in cui il preliminare dovesse prevedere la corresponsione di una caparra confirmatoria, sarà dovuta un’imposta di registro dello 0,5% sull’ammontare della caparra stessa.
Nel caso in cui invece dovesse essere stato pattuito un acconto sul prezzo, sarà dovuta un’imposta di registro pari al 3% della relativa somma.
Naturalmente, è questo il caso in cui il contratto definitivo non sia soggetto ad IVA: nel caso inverso, invece, e quando cioè l’acconto risultasse sottoposto ad IVA, sarebbe corrisposta ovviamente quest’ultima imposta.
Un siffatto problema non si pone, invece, per la caparra confirmatoria: avendo quest’ultima natura risarcitoria, non potrà essere sottoposta all’ambito di applicazione dell’IVA neppure quando ne fosse soggetto il contratto definitivo.
Si capisce come fondamentale risulti la qualificazione di una determinata somma a titolo di caparra o di acconto.
Sarà innanzitutto determinante la volontà negoziale manifestata dalle parti nella stipula del contratto: si tratterà quindi di caparra quando si potrà desumere che la somma sia stata prevista a titolo di risarcimento per l’eventuale inadempimento; al contrario, avremo un’ipotesi di acconto in caso di anticipo del prezzo che sarà dovuto alla stipula del definitivo.
Dal canto suo, l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 18 del 2013 ha specificato come “la dazione anticipata di una somma di denaro, effettuata al momento della conclusione del contratto, costituisce caparra confirmatoria qualora risulti espressamente che le parti abbiano inteso attribuire al versamento anticipato non solo la funzione di anticipazione della prestazione, ma anche quello di rafforzamento e garanzia dell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale”.
Ed infatti, la stessa giurisprudenza, per orientamento consolidato, ritiene che nei casi di dubbia interpretazione debba ritenersi che la somma sia stata versata a titolo di acconto e non di caparra.
A tal riguardo, e a conferma di quanto detto, può essere ora interessante richiamare una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sez. V tributaria, 31 maggio 2016, n. 11307).
La sentenza in esame costituisce un’importante affermazione della Suprema Corte in relazione all’ipotesi in cui ad un contratto preliminare non segua la stipula del contratto definitivo, ponendo proprio un problema di tassazione della relativa caparra.
Ebbene, nel caso di specie, la Corte asserisce che: «la Commissione regionale ha infatti condiviso la ritenuta tassabilità della caparra incassata dal contribuente, per inadempimento della parte promissaria acquirente, in ragione della sua riconosciuta “natura risarcitoria, in applicazione della disciplina tributaria prevista dall’art. 6, comma 2, e art. 67, comma 1, lett. a), del tuir”. Ha osservato infatti che l’inquadramento della clausola penale rientra pienamente nel disposto dell’art. 6, comma 2, del tuir, secondo il quale sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti “le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”, concordando la dottrina nell’affermare che, in caso di inadempimento dell’obbligazione principale, la rilevanza dell’imposizione diretta della corresponsione della penale ha per base la visione civilistica della fattispecie come essenzialmente risarcitoria.»
Ed ancora: «in seno all’incremento patrimoniale che si verifica a vantaggio della parte non inadempiente, con l’introito della penale, sono state individuate, ai fini tributari, una componente risarcitoria della perdita subita ed una componente risarcitoria del mancato guadagno; quest’ultima “è assimilata a reddito, e quindi assoggettata ad imposizione diretta, in quanto surrogatoria del mancato reddito a causa dell’inadempimento dell’altro contraente. Per l’individuazione di tali componenti all’interno della prestazione risarcitoria si è fatto ricorso al criterio riferito all’attitudine a produrre reddito della prestazione principale rimasta ineseguita. In caso affermativo, l’introito della penale viene a sua volta considerato reddito per la parte afferente a tale mancato reddito. Ne consegue che la penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (cessione dell’immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell’art. 67, comma 1, tuir.”».
La Corte si manifesta, quindi, a favore della soggezione della caparra ad imposizione diretta, in quanto essa rappresenterebbe il risarcimento di proventi (e cioè la prestazione principale, non adempiuta) che avrebbero costituito redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell’art. 67 del TUIR.