Ndr: Questo è il secondo di due articoli volti ad analizzare il delitto di omessa consegna o deposito di cose del fallimento da parte del curatore fallimentare.
I beni oggetto del reato
Per quanto concerne i beni oggetto dell’ordine del giudice è, innanzitutto, necessario che trattasi di somme o di cose di cui il curatore abbia la detenzione intendendosi per tale la sua disponibilità di fatto.
Detenzione che, dovendo riguardare somme od altra cosa del fallimento, è relativa non solo ai beni detenuti dal curatore in ragione del suo ufficio ma anche ad altri beni assoggettati alla procedura e caduti nel fallimento pur se eventualmente rivendicati da persone diverse dal fallito.
L’oggetto del reato può riguardare anche beni privi di qualsiasi valore economico, non essendo questo un delitto contro il patrimonio ma a tutela della regolarità della procedura concorsuale. Dunque, in esso sono compresi tutti i beni del fallimento anche laddove non utili alla massa fallimentare.
In tale ambito, allora, rientrano tra i beni oggetto di tutela i documenti relativi all’impresa fallita essendo stato ravvisato questo reato nel caso del curatore che, revocato dal suo incarico, non consegni tutti i documenti concernenti l’amministrazione del fallimento[1].
In modo consequenziale si è valutato nel caso di un curatore che non aveva depositato nella cancelleria del giudice, nel termine da quest’ultimo fissato, il registro del curatore di cui all’art. 38 L.F. – ove sono annotate giorno per giorno le operazioni della sua amministrazione – ed i libri IVA afferenti alla procedura.
In questa occasione, infatti, la Corte ha indicato come anche la condotta omissiva relativa a questi registri sia qui sanzionata tenendo conto che il riferimento contenuto nella norma all’omessa consegna di «altra cosa del fallimento» – invece che all’omessa consegna «di beni» (nozione usata in altre disposizioni regolate dal titolo in esame) – fa valutare questa fattispecie come applicabile ad ogni omessa consegna di cose di proprietà del fallimento anche se non destinati a soddisfare la massa dei creditori[2].
Rientrano, inoltre, nei beni qui rilevanti tutti quelli inventariati, ai sensi dell’art. 88 L.F., anche laddove siano stati inseriti erroneamente nell’inventario, trattandosi, ad esempio, di beni o di diritti personali ex art. 46 L.F.
Infatti, anche questi sono presi in consegna dal curatore nell’esercizio del suo incarico e sono nella sua disponibilità fino a quando il Giudice non ne disponga la separazione dall’asse fallimentare.
La condotta omissiva
Dopo questo ordine, inoltre, è richiesto che il curatore ometta o ritardi di consegnare o di depositare le cose del fallimento da lui detenute in ragione del suo ufficio.
Condotta, dunque, che consiste in una mera disobbedienza in quanto con essa viene violato l’obbligo del curatore di obbedire agli ordini del giudice delegato, relativamente alla custodia e alla conservazione delle somme o delle cose del fallimento[3]. Il tutto in misura tale da portare a qualificare questo come un reato di pure omissione[4].
Mancata consegna da parte del curatore che, tuttavia, deve essere limitata ad una mera omissione all’ordine del giudice, continuando lo stesso a mantenere il possesso sul bene nella sua qualità e senza che questa sia preceduta o seguita da un’appropriazione (con inversione del possesso in proprietà) o da una distrazione da parte del curatore di queste somme o di questi beni a profitto proprio o di terzi (entrando a far parte del loro patrimonio).
Infatti, in queste ultime ipotesi ricorre non già il reato in esame, bensì quello di peculato, di cui all’art. 314 c.p.[5].
In questo contesto si è, allora, aggiunto come presupposto indefettibile per l’assenza dell’interversione del possesso e, quindi, per la non ricorrenza del delitto di peculato, invece quello in esame in questa sede, ovvero che le somme non siano mai entrate a far parte del patrimonio del curatore.
In tale ambito si è aggiunto che tale interversione è, allora, presente laddove il curatore abbia versato le somme della curatela nel proprio conto corrente bancario, in quanto nessuna norma lo autorizza ad usare i propri conti correnti per depositare le somme ricavate dalle vendite fallimentari ed essendo, anzi, una tale condotta vietata dall’art. 34 L.F. che obbliga il curatore a versare, entro il termine massimo di dieci giorni, le somme riscosse a qualsiasi titolo in un conto corrente intestato alla procedura.
[1] In tal senso Santoriello.
[2] Cass. n. 37459/2005.
[3] Cass., sez. V, 20.9.2005, n. 37459; Cass., sez. VI, 2.2.1972.
[4] Così Sandrelli.
[5] Cass., sez. V, 3.2.2000, n. 4472, Biasizzo, in Ced Cass., rv. 220516.