27 Marzo 2025
27 Marzo 2025

L’elemento della presenza quale criterio distintivo tra le fattispecie di diffamazione ed ingiuria: un caso recente

La massima.

La e-mail a contenuto diffamatorio diretta all’offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione e non anche il reto di ingiuria, stante la non contestualità del recepimento delle offese, atteso che le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti. (Cass. Pen., Sez. V, 08/04/2021, n. 13252).

Il caso.

Il Tribunale di Roma condannava il ricorrente per il reato di diffamazione, di cui all’art. 595 c.p., per avere trasmesso una mail dal contenuto offensivo alla vittima e ad altre 10 persone, facenti parte di un vecchio gruppo di lavoro.

Ricorreva per Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando, tra l’altro, violazione di legge per non avere il giudice del merito riqualificato gli anzidetti fatti ai sensi dell’art. 594 c.p.

L’Avvocato del ricorrente, a tal proposito, sosteneva come l’offeso fosse un componente del gruppo destinatario delle e-mail; con ciò, ne sarebbe derivata una percezione dell’offesa “quasi in tempo reale”.

La motivazione.

Nel dichiarare infondato il ricorso, la Suprema Corte prende le mosse dalla fattispecie di ingiuria.

Tale norma incriminatrice, pur abrogata per effetto del D.Lgs. n. 7/2016, continua, tuttavia, a fornire un fondamentale criterio discretivo con il successivo illecito previsto dall’art. 595 c.p.

Il reato di diffamazione, infatti, si apre con una clausola di sussidiarietà: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito (…)”.

Gli Ermellini, raffrontando le due disposizioni poc’anzi citate, dettano la “scheda operativa” per distinguere i fatti ingiuriosi da quelli diffamatori, sulla base di talune situazioni concrete di notevole rilevanza prasseologica.

In sostanza, secondo i Giudici, il richiamato raffronto normativo determinerebbe una triplice conseguenza:

  • L’offesa diretta ad una persona presente costituirebbe sempre un’ingiuria; e ciò, anche nel caso in cui siano contestualmente presenti altre persone.
  • L’offesa diretta ad una persona distante determinerebbe la violazione dell’art. 594 c.p. soltanto qualora la comunicazione oltraggiosa avvenga, esclusivamente, tra autore e destinatario; viceversa, nel caso in cui la comunicazione a distanza fosse indirizzata, altresì, ad altre persone oltre all’offeso, una simil condotta integrerebbe il reato di diffamazione.
  • L’offesa riguardante un assente e comunicata ad almeno due persone violerebbe sempre il disposto di cui all’art. 595 c.p.

Ciò detto, i Giudici di Piazza Cavour ribadiscono come sia il concetto di “presenza” dell’offeso “(…) ad assurgere a criterio distintivo e tale concetto implica necessariamente la presenza fisica (…) ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call/conference, audioconferenza o videoconferenza)[1]”.

Secondo i Giudici, l’evoluzione tecnologica e la diffusione di nuove modalità di comunicazione non muterebbe la sostanza delle cose: rimane sempre fermo il criterio della presenza, seppur virtuale.

Di talchè, sarà necessario, in queste ipotesi, ricostruire l’accaduto caso per caso, tenendo sempre bene a mente la scheda operativa ricostruita dalla Cassazione.

Infatti, qualora le offese vengano proferite nel corso di una riunione “da remoto o a distanza”, con partecipazione simultanea dell’offeso e di altre persone, viene ad esistenza l’ipotesi dell’ingiuria, oggi depenalizzata.

Viceversa, se la comunicazione a distanza non fosse connotata da tale contestualità, ricorrerebbe l’ipotesi diffamatoria.

Delineato così il quadro dogmatico sotteso alle fattispecie richiamate, i Giudici si concentrano sulla diffamazione perpetrata a mezzo mail, ai fini della risoluzione del caso sottoposto alla loro attenzione.

Si ricorda, in punto, come: “(…) le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti. Deriva che nel caso quale quello in rassegna – di invio di una e-mail dal contenuto offensivo, destinata sia all’offeso, sia ad altre persone (almeno due) – è ravvisabile il delitto di cui all’art. 595 c.p, in ossequio al medesimo principio enucleato dalla Corte di Cassazione per la corrispondenza tradizionale[2]”. I Giudici, a tal proposito, richiamano vari precedenti di legittimità, i quali hanno equiparato la corrispondenza tradizionale a quella telematica[3].

Ordunque, nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte inquadra la condotta dell’imputato nel reato di diffamazione.

Brevi conclusioni.

La pronuncia in esame suscita notevole interesse da un punto di vista pratico e rappresenta certamente un importante snodo interpretativo sui rapporti tra diffamazione ed ingiuria.

Ed infatti, la Cassazione non si è soltanto limitata ad esaminare il tema della diffamazione a mezzo mail, eliminando, sul punto, ogni dubbio di sorta.

Invero, i Giudici hanno dettato la risoluzione della dicotomia tra ingiuria e diffamazione in ordine a tutti i casi più frequenti nella prassi, strizzando l’occhio alle offese perpetrate attraverso le nuove tecnologie, le quali, a causa della pandemia, rappresentano ormai una fonte primaria delle modalità di comunicazione.

Per tutti tali aspetti, la sentenza in discorso occupa certamente un posto centrale nell’ermeneutica relativa al delitto di cui all’art. 595 c.p.

Fonte immagine: www.pixabay.com

[1] Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 13252, 8 Aprile 2021.

[2] Cass. Pen., Sez. V., cit.

[3] Ex multis, Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 12603, 2 Febbraio 2017.

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