16 Novembre 2025
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Le verità sul reato di minaccia ex art. 612 c.p.

Sempre più spesso il reato di minaccia di cui all’art. 612 c.p. viene mitizzato da chi pensa che per integrarlo serva una minaccia particolarmente grave, detta in chissà quale contesto e in chissà quale modo. In realtà – è bene fare attenzione – non è così.

Innanzitutto, l’art. 612 c.p. recita come di seguito riportato: <<Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.
Se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339, o se è commessa a danno di un minore o di persona in stato di infermità o deficienza psichica o se ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio
>>.

E’ importante capire qual è la struttura della minaccia ex art. 612, così come prevista dal codice penale. È bene, fin da subito, evidenziare il fatto che ci si soffermerà solo sugli aspetti più interessanti, lasciando al lettore la restante lettura della norma.

Per “minaccia” si intende la prospettazione di un male ingiusto. Tale prospettazione si declina in due voci: da un parte[1], il male viene indirizzato ad una soggetto passivo che può essere anche specifico, cioè la persona con cui l’autore ha un rapporto affettivo o addirittura di parentela; dall’altra[2], la prospettazione del male deve dipendere dalla volontà dell’agente[3] e si può configurare, in particolare, una minaccia attiva od omissiva.

Circa l’aggettivo “ingiusto”, è da sottolineare come per esso si intenda il fatto che il male del reato di minaccia debba essere in sé contra ius, integrante obiettivamente un illecito. Di conseguenza, il male non integrerà il reato di minaccia qualora sia giuridicamente lecito o indifferente. Il reato di minaccia sarà, invece, integrato anche se il male minacciato sarà indeterminato. È infatti vero che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612 c.p. ˂˂ […] è sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire essendo irrilevante, invece, l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente˃˃ (Cass. Pen., Sez. V, 18 gennaio 2018, n. 5454).

La prima verità riguarda le modalità con cui può essere posta in essere la minaccia. È, infatti, sufficiente che la minaccia venga prospettata o in modo implicito o indiretto o simbolico.

Questo lo si desume da consolidata giurisprudenza, la quale ha sempre sostenuto che:

  • Anche un mero comportamento, come un atteggiamento non accompagnato da alcuna espressione verbale, può integrare gli estremi della minaccia, tutte le volte che, in rapporto alle modalità ed alle circostanze spazio-temporali in cui sia posto in essere, assuma un inequivoco significato rappresentativo di danno ingiusto[4];
  • La minaccia può essere integrata anche dal riferimento indiretto o allusivo, contenuto in uno scritto anonimo, a possibili obiettivi da colpire nell’ambito degli interessi ed affetti del destinatario, essendo anche in tale forma idonea a coartarne la libertà morale[5].

La seconda verità riguarda il giudizio di idoneità.  <<Ai fini dell’integrazione del reato di minaccia (art. 612 cod. pen.), non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo semplicemente sufficiente che la condotta posta in essere dall’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo>>[6].

Questa consolidata giurisprudenza ci fa capire come il reato di minaccia sia un reato di pericolo, per la cui idoneità non è rilevante il fatto che la minaccia sia effettivamente percepita come tale dal soggetto passivo. È, infatti, vero che ognuno di noi ha una tempra e una forza d’animo diversa. C’è chi è più o meno coraggioso, più o meno temerario. Ciò, però, non fa venire meno la configurabilità dell’art. 612 c.p., in quanto l’idoneità ad incidere sulla libertà psichica (e morale) del soggetto viene attestata attraverso una valutazione ex ante.

Una valutazione ex ante non esclude, però, la necessità di valutare la minaccia nel contesto in cui è avvenuta, dando rilievo anche alle circostanze concrete e allo specifico rapporto intercorrente tra autore della medesima e persona offesa. Si parla, per questo, anche di una valutazione in concreto, che permette un giudizio più coerente con il fatto realmente accaduto[7]. Una valutazione solo ed esclusivamente in astratto non sarebbe, infatti, possibile, pena il cadere in un giudizio per presunzione[8].

Quanto sopra detto serve per arrivare all’ultima verità e, dunque, al messaggio da cui si era partiti. Sapere le modalità che bastano per integrare il reato di minaccia e quando è possibile giudicare una frase “idonea” alla sua configurabilità è importante, se non fondamentale, in quanto oggi la procedibilità del delitto è stata modificata con il D. Lgs. 10 aprile 2018, n. 36. Il delitto di minaccia è procedibile a querela di parte nell’ipotesi base, cui ora si aggiunge anche l’ipotesi aggravata della minaccia grave, di cui al primo periodo del 2° co. dell’art. 612. Il delitto è, invece, ora procedibile d’ufficio solo nell’ipotesi aggravata della minaccia grave commessa nei modi indicati dall’art. 339.

Per i motivi in ultimo esposto, è bene conoscere la disciplina che connota il reato di minaccia per permettere di tutelarsi e farsi tutelare.

[1] Mantovani, Diritto Penale Parte Speciale, CEDAM, 2015, I, p. 333.

[2] Ibidem.

[3] Cass. Pen., Sez. V, 28 novembre 2017, n. 54879: ˂˂Il reato di minaccia non sussiste ogniqualvolta la formula intimidatoria utilizzata sia impersonale ed evochi un male futuro, la cui realizzazione non dipende dalla volontà dell’agente˃˃.

[4] Cass. Pen., Sez. V, 6 ottobre 2003, n. 556.

[5] Cass. pen., Sez. V, 6 ottobre 2015, n. 463, Rv. 265689

[6] Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 46528, 17 dicembre 2008, Rv. 242604, Sez. VI; Cass. Pen., Sent. n. 14628, 23 dicembre 1999, Rv. 216321; Sez. V, Cass. Pen., Sent. n. 4575, 10 maggio 1985, Rv. 169159.

[7] Cass. pen., Sez. V, 17 giugno 2003: <<Nel delitto di minaccia non deve essere interpretata in senso letterale, ma inquadrata nel contesto dei rapporti intercorsi tra le parti l’espressione utilizzata dal minacciante; ne consegue che la dichiarazione di voler causare un male fisico a qualcuno, quand’anche formulata in termini volgari, non costituisce minaccia se in concreto risulti che essa sia stata utilizzata in senso figurato o metaforico>>.

[8]M.  Mezzetti, Violenza privata e minaccia, in Dig. pen., XV, Torino, 1999, p. 285.

 

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