“Integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale qualsiasi condotta attiva od omissiva che si traduca in un atteggiamento – anche implicito, purché percepibile “ex adverso” – volto ad impedire, intralciare o compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (dovendosi pertanto interpretare in senso lato il concetto di violenza cui ha riguardo la norma)”, così si è espressa la Suprema Corte in materia con sentenza Sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 5147 (Rv. 258631).
Non volendo addentrarsi oltre negli elementi che contraddistinguono la fattispecie in esame (si veda http://www.iusinitinere.it/resistenza-pubblico-ufficiale-art-337-c-p-7181), di seguito si rende necessario, per completezza di analisi, soffermarsi sul dibattito – di recente chiarito dalle Sezioni Unite – nato in relazione all’unicità o meno del reato ex art. 337 c.p., qualora le vittime fossero state più pubblici ufficiali[1].
La controversia sorgeva tra due orientamenti giurisprudenziali:
- Cass. Pen., Sez. VI, 12.7.2017, n. 39341: “In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato e non il concorso formale omogeneo di reati, la minaccia nei confronti di più pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, posta in essere nel medesimo contesto fattuale per impedire il compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio”;
- Cass. Pen., Sez. VI, 25.5.2017, n. 35227: “La resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 cod. pen., ma un concorso formale omogeneo di reati e dunque tanti distinti reati quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacché la resistenza, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione, si risolve in distinte offese al libero espletamento dell’attività funzionale di ciascun pubblico ufficiale”.
Stante il palese contrasto ora richiamato, la Cassazione Penale Sez. VI, Ord., 12.12-21.12.2017, n. 57249 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione: «se commetta più violazioni dell’art. 337 l’agente che, con una sola azione usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o a più incaricati di pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza»[2].
Orbene, secondo l’informazione provvisoria diffusa dalla Suprema Corte a SS. UU.: «E’ integrato il concorso formale di reati»[3].
Ciò significa che chi agisce con violenza e minaccia contro più pubblici ufficiali lede non solo l’astratto concetto di pubblica amministrazione, ma in particolare più persone fisiche, mediante una condotta idonea ad impedire, ostacolare o intralciare l’atto d’ufficio. Per questo motivo, si configurano “più resistenze”, in rapporto non di continuazione, bensì di concorso formale.
A questo punto, per quanto ad esprimersi siano state le Sezioni Unite, si può ragionare in ordine alla ragionevolezza o meno di configurare più resistenze a pubblico ufficiale. È vero che la ratio sottesa alle resistenze può avere una sua ragion d’essere, pensando di tutelare non solo il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, ma soprattutto la persona fisica che veste la divisa. È anche vero però che, a parare di chi scrive, reati che tutelino la persona fisica lesa esistono già.
Non è da dimenticare, infatti, che qualora l’imputato valichi il limite previsto dall’art. 337 c.p. per opporsi ai pubblici ufficiali, producendo non semplicemente delle percosse, bensì delle lesioni personali, questo viene ad integrare anche la fattispecie illecita di cui all’art. 582 c.p..
Come ricorda una consolidata giurisprudenza[4], anche allorquando resistenza e lesioni scaturiscono da una unica condotta, diversi sono gli eventi ed i beni giuridici tutelati, potendo il delitto di resistenza assorbire solo quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse e non quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali.
Nello stesso senso, per il reato di minaccia ex art. 612 c.p., qualora l’imputato esprima delle minacce che non sono dirette ad ostacolare il regolare svolgimento delle funzioni dei pubblici ufficiali, si integra il reato di minaccia[5], in quanto l’imputato, supera quei limiti che fanno parte dell’art. 337 c.p..
Appare, dunque, evidente che per la tutela dei pubblici ufficiali in quanto tali fossero già previsti degli accorgimenti. Forse l’obiettivo era proprio quello di permettere al mero art. 337 c.p. la precipua tutela della libertà di determinazione e di azione della pubblica amministrazione.
In conclusione, al di là del commento appena svolto, secondo le Sezioni Unite dal 2018 si parla di resistenze ai pubblici ufficiali, quando ci sono più persone fisiche coinvolte. E questo rimane un monito di fondamentale importanza da ricordare in tutte le occasioni, in primis, durante la scrittura dei capi di imputazione.
[1] Per le sezioni unite commette più reati (in concorso formale) chi si oppone contemporaneamente, con violenza o minaccia, ad una pluralità di pubblici ufficiali, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 26 febbraio 2018.
[2] http://studiolegale.leggiditalia.it, vedi commento all’art. 337 c.p..
[3] Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2018, Pres. Di Tomassi, Rel. De Crescienzo, ric. Apolloni (informazione provvisoria).
[4] Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n. 27703, 15 aprile 2008, Rv. 240880.
[5] Cass. pen. Sez. VI, 29-01-2009, n. 22453 Rv. 244060.