Le novità della legge del 2015, n. 47 in tema di misure cautelari personali hanno rappresentato una svolta importante se sipensa all’utilizzo che è sempre stato fatto di alcune di queste particolarmente incisive della libertà personale.
In primo luogo, per quanto riguarda le esigenze cautelari del pericolo di fuga e di recidiva, il legislatore, con la novella in commento, ha voluto dar vita ad una nuova valutazione di sussistenza delle stesse, richiedendo una valutazione attualizzata al fine di limitare il potere discrezionale del giudice.
Qui di seguito, si riporta l’articolo così riformato.
Art. 274, lett. b, c.p.p.: “b) quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto ed attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione; le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede”.
Alla lettera b (come alla lettera c del medesimo articolo) il legislatore ha voluto sottolineare come il pericolo di fuga (o di recidiva) non debba essere solo concreto, ma anche attuale.
A proposito della prevenzione del pericolo fuga o di recidiva, è utile richiamare l’incidenza della gravità del reato.
Si è voluto evitare che nel giudizio ex art. 274 c.p.p. il giudice ancorasse la sua valutazione al solo parametro della “gravità” del titolo di reato, realizzando, così, una sorta di presunzione di necessarietà.
La conseguenza consiste nel dovere di dimostrare fatti inerenti alla concreta e attuale fattispecie criminosa e al suo autore. Si parla, quindi, di gravità concreta, non astratta.
Questa conclusione è legata al principio secondo il quale le misure cautelari personali non devono avere una funzione retributiva rispetto alla gravità del reato commesso.
Un altro principio che si è inteso rafforzare è quello di limitare l’uso della custodia cautelare in carcere, rendendola uno strumento da utilizzare come extrema ratio.
La decisione si è, così, posata sull’utilizzo di diverse misure cautelari personali, meno radicali, ma più funzionali, grazie alla nuova possibilità di cumulo prevista dal legislatore.
Non sono mancate, poi, norme finalizzate ad evitare applicazioni automatiche che, a determinate condizioni, rendevano la custodia cautelare praticamente obbligatoria.
L’Art. 275, co. 3, c.p.p. ora dispone che: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari […]”.
Da notare che, in materia, c’è stato anche un intervento della Corte Costituzionale.
Sono, così, venute meno le presunzioni assolute di adeguatezza della custodia in carcere per quasi tutti i reati che compongono l’attuale catalogo, e si sono trasformate in presunzioni relative, superabili quando siano acquisito elementi dai quali è lecito dedurre l’assenza di esigenze cautelari specifiche.
Ecco che la custodia in carcere ha assunto un ruolo sussidiario rispetto alle altre misure.
La presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere è rimasta in piedi solo per i reati associazione sovversiva, di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico e di associazione per delinquere di stampo mafioso, anche straniera.
Per le altre fattispecie non esistevano ragioni tali da giustificare la presunzione assoluta, dato che in esse sono assenti gli elementi costitutivi dei reati, di cui sopra, che invece supportavano la necessità di uno strumento maggiormente incisivo, come il carcere.
Infine, per quello che la stesura di tale articolo consente, il legislatore ha espressamente previsto per il giudice che dovrà emettere l’ordinanza l’obbligo di addurre una “autonomia valutazione”.
Con ciò si è voluto specificare il dovere per il giudice di non appiattirsi a quanto già scritto dal pubblico ministero, bensì di dar conto di un autonomo percorso decisionale.
L’art. 292, lett. c-c bis, c.p.p., così recita: “c) l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; c–bis) l’esposizione e l’autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l’esposizione e l’autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure”.
La novella ha, quindi, stabilito che il giudice della cautela deve dimostrare di avere operato, rispetto alla parte pubblica richiedente, un’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari, del rilievo degli elementi addotti dalla difesa e delle ragioni del ricorso alla custodia in carcere.
È, dunque, evidente come questa novella abbia inteso riformare le misure cautelari personali nell’ottica di un utilizzo adeguato e proporzionato di quelle maggiormente incisive.
E abbia, inoltre, cercato di recuperare quella autonomia che, forse, nel tempo il giudice cautelare aveva perso.