14 Maggio 2025
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La figura del serial killer: tipologie e approcci

In generale, il serial killer è ‹‹qualcuno che ha ucciso in almeno tre occasioni, con quello che possiamo chiamare un periodo di pausa in mezzo a ognuna››[1].

Per capire in maniera più precisa che cosa si intende per serial killer, si fa riferimento ad una distinzione pensata e studiata da due noti psicologi e criminologi[2].

Il serial killer per eccellenza è colui che, appunto uccide almeno tre vittime, con un periodo di cooling-off tra un omicidio e l’altro. Questo dato è di particolare importanza, in quanto distingue il serial killer dalle altre figure che verranno analizzate in seguito. Il serial killer non uccide tutte le sue vittime in una unica parentesi temporale, ma tra gli eventi criminosi esiste una sorta di periodo di raffreddamento. O meglio, un periodo di pausa emotiva. Si parla quindi di ciclicità temporale. Il serial killer è anche convinto di non poter essere catturato dalle Forze dell’Ordine, date le diverse precauzione che prende prima di agire[3].

Lo spree killer, o assassino compulsivo, è colui che uccide due o più vittime, in un lasso di tempo alquanto ravvicinato, in luoghi diversi, ma contigui. In questo caso specifico, il breve periodo di tempo rappresenta l’idea di dar vita ad un singolo evento criminoso, nonostante la pluralità delle azioni omicidiarie poste in essere. È quasi come se il killer venisse preso da un raptus omicida. Anche per questo motivo, si ritiene che la prospettiva di essere o meno catturato non è tra le sue priorità.

Il mass murder, invece, uccide quattro o più persone, nello stesso tempo e nello stesso luogo. È il tipico assassino che entra in una scuola e fa una strage. In genere, agisce per motivi che ritiene essere più grandi di lui e per questo motivo non teme l’eventualità di perdere la vita.

Come si può notare dai paragrafi precedenti, la figura del serial killer si distingue perfettamente dalle altre. Anche all’interno della classe dei “serial killer”, però, possono essere descritte altre categorie.

  1. Visionario: è il serial killer che commette un’azione delittuosa perché spinto da una voce allucinata o da una visione.
  2. Missionario: è il serial killer che agisce per compiere una missione. È convinto che attraverso l’uccisione di determinati soggetti, si ponga in essere una pulizia del mondo da persone considerate indesiderabili.
  3. Edonista: è l’assassino che uccide per il piacere di farlo. Per lui, l’azione omicidiaria in sé corrisponde ad una sorta di orgasmo emotivo.
  4. Controllo del potere: è colui che assassina con il solo scopo di manifestare il suo potere sull’altra persona. Ecco che, per esempio, questo tipo di serial killer, qualora stuprasse una persona, non sarebbe per solo il sesso. Il sesso diventerebbe un mezzo per ottenere il controllo su quel soggetto e definirne il destino.
  5. Lussurioso: attraverso l’uccisione, ottiene un soddisfacimento di natura sessuale. Per lui, sesso e morte sono sullo stesso piano e governano il suo agire. [4]

Queste distinzioni tra i serial killer sono molto utili in un’ottica di individuazione del colpevole. Essere a conoscenza dell’esistenza di un collegamento tra comportamento e azione delittuosa può essere da guida all’inquirente che si trova a dover interrogare un indagato e/o un detenuto. Lo studio delle tracce repertate nella scena del crimine è utile agli operanti per desumere le caratteristiche dell’autore del reato e limitare il numero di sospettati. Una volta individuato il soggetto che più aderisce al profilo psicologico stilato dagli esperti in materia, il Pubblico Ministero può condurre un interrogatorio mirato. Se è indagato, a capire se è lui o meno il colpevole. Se è detenuto, a ottenere informazioni utili sulla dinamica delittuosa.

La scelta della metodologia di interrogatorio è fondamentale. È bene essere consapevoli dell’obiettivo che si vuole raggiungere, senza però violare quelli che sono i dettami della procedura penale. In primis, è vero che obiettivo principale dell’interrogatorio è quello di ottenere una confessione da parte dell’interrogato; è anche vero, però, che per raggiungere questo scopo, non si può estorcere la confessione, violando la libertà morale e la dignità della persona.

Esistono, inoltre, i divieti di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 499 c.p.p. Il comma 2 vieta l’utilizzo delle domande nocive, cioè quelle poste in modo intimidatorio. Ciò significa che non devono essere poste domande che inducano il teste a dire il falso per ansia o timore. Il comma 3, invece, pone il divieto di formulare domande suggestive, cioè quelle che tendono a suggerire la risposta. C’è, però, una precisazione da fare: tale divieto vale solo per l’esame diretto; per il controesame, invece, sono utili per saggiare l’attendibilità del teste.

Infine, quanto sopra descritto permette anche di non scadere in un altro divieto, cioè quello della perizia psicologica di cui all’art. 220, co. 2, c.p.p., cioè la perizia sul carattere e sulla personalità dell’imputato, nonché sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Anche in questo divieto, la ratio risiede nella salvaguardia della libertà morale della persona. Tale perizia può essere evitata perchè più il P.M. ha pre-acquisito conoscenze relative al killer, più sarà avvantaggiato nel suo operare, senza violare nessuna norma, ma arrivando ugualmente all’individuazione dell’autore di reato.

[1] Ressler, 1970.

[2] Vincenzo Mastronardi e George B. Palermo.

[3]

[4] http://www.latelanera.com, capitolo 2.

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