27 Aprile 2025
27 Aprile 2025

La delibazione delle sentenze di nullità matrimoniale: orientamenti giurisprudenziali e nuove questioni

A cura di Teresa De Gregorio

1.INTRODUZIONE

Con il termine «delibazione» si intende quella speciale procedura giudiziaria tramite la quale in un determinato Stato viene accordata a domanda di parte efficacia giuridica ad un provvedimento di carattere giudiziario emesso dall’autorità giudiziaria di un altro Stato1.
A tale procedura possono essere, pertanto, sottoposte anche le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale emesse dall’ordinamento giudiziario canonico, in applicazione dell’Accordo tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica del 18 febbraio 1984, modificativo della precedente normativa in materia prevista dal Concordato Lateranense del 19292.

Il Concordato del 1929 che ha introdotto tale disciplina, aveva riservato alla competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici, a norma dell’art. 34, le cause di nullità matrimoniale e la dispensa relativa al matrimonio rato e non consumato. I provvedimenti resi esecutivi mediante decreto del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica, sono trasmessi alla Corte d’Appello che, mediante ordinanza, li rende esecutivi nell’ordinamento dello Stato. La regola fu intesa inizialmente nel senso che la Corte d’Appello dovesse dare automaticamente esecuzione alle sentenze ecclesiastiche senza operare alcun controllo nel merito. Contro questa interpretazione si schierò la Corte Costituzionale3. Essa dichiarò, l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 L. n. 847/1929 per violazione del principio di sovranità dello Stato e per contrarietà all’art. 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva che la Corte d’Appello dovesse operare un controllo di conformità all’ordine pubblico del provvedimento ecclesiastico. In base alle regole concordatarie la Corte costituzionale si pronunziò contro la possibilità di rendere esecutivi, nell’ordinamento civile, i provvedimenti pontifici di dispensa relativi al matrimonio rato e non consumato. E’principio fondamentale del nostro ordinamento che solo un provvedimento del giudice civile possa estinguere il rapporto coniugale sorto validamente, mentre non è tale la dispensa pontificia la quale va piuttosto collocata, per le caratteristiche che la contraddistinguono, nel novero dei provvedimenti amministrativi.

L’Accordo del 1984 di revisione del Concordato ha apportato modifiche significative; le sentenze dei tribunali ecclesiastici possono produrre effetti in ambito civile se ricorrono le seguenti condizioni4:

  • il giudice ecclesiastico sia competente a decidere la controversia trattandosi di matrimonio concordatario, ovvero un matrimonio celebrato in forma canonica cui sia seguita trascrizione ai fini civili, e che la sua decisione sia munita del decreto di esecutorietà del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (il quale ne attesta la definitività);

  • sia stato rispettato il diritto delle parti di agire e resistere in giudizio conformemente ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano (oltre che dell’ordinamento canonico);

  • vi siano le altre condizioni necessarie per rendere efficaci in Italia le sentenze straniere (contenute negli artt. 696 ss. c.p.c.); in particolare, che le ragioni di invalidità non contrastino con i principi di ordine pubblico.

La Corte di Cassazione ha precisato, riguardo alle sentenze ecclesiastiche, che solo una contrarietà assoluta all’ordine pubblico preclude la loro efficacia in Italia (ostacolandone la delibazione) a differenza di quelle emesse dai giudici di Paesi stranieri la cui efficacia è preclusa anche da una contrarietà relativa5.

Devono verificarsi, in particolare, le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere e cioè: a) l’assenza di una sentenza passata in giudicato emessa nell’ordinamento giudiziario italiano che sia contrastante con la sentenza ecclesiastica; b) che non sia pendente innanzi ad un giudice italiano un giudizio fra le stesse parti avente il medesimo oggetto (cioè la nullità dello stesso matrimonio, anche se per motivi diversi da quelli addotti in ambito ecclesiastico), instaurato prima che la sentenza canonica sia divenuta esecutiva6.Nel giudizio di delibazione la Corte d’appello, nel controllare le ragioni della decisione ecclesiastica, non può ritornare sugli accertamenti compiuti da detto giudice su cui essa si fonda (ad esempio l’esistenza delle minacce o dell’incapacità di uno dei coniugi); mentre può compiere valutazioni autonome di circostanze non rilevanti per l’ordinamento canonico (ad es., se l’esclusione da parte di uno dei due sposi dei bona matrimonii fosse stata conosciuta o meno dall’altro o almeno conoscibile) e per questo non sottoposte ad accertamento, ma sempre sulla base degli atti del processo canonico (essendo ammessa una fase di deliberazione una ulteriore attività istruttorio).

L’Accordo del 1984 ha introdotto un’altra importante novità: la delibazione delle sentenze ecclesiastiche non avviene più d’ufficio ma su richiesta delle parti (o di una di esse) a pena di nullità del procedimento.

La decisione della Corte d’appello è impugnabile in Cassazione7.

La delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio canonico, facendo venir meno retroattivamente i suoi effetti civili fin dal giorno della sua celebrazione (lasciando tuttavia impregiudicati gli eventuali rapporti di filiazione e tutti gli obblighi giuridici ad essi collegati), fa venir meno anche l’esigenza della domanda di divorzio, qualora esso non sia già giudizialmente intervenuto tra le parti. Viceversa, è possibile la delibazione della sentenza ecclesiastica anche se sia già intervenuto il divorzio, i cui effetti personali e patrimoniali già eventualmente ivi statuiti restano comunque fermi ed efficaci.

2.EXCURSUS STORICO – GIURIDICO

Le sentenze ecclesiastiche dichiarative di nullità matrimoniale canonica, dopo i Patti Lateranensi del 1929 e fino agli anni ’70, erano recepite automaticamente dallo Stato Italiano ed erano riconosciute, agli effetti civili, qualunque fosse la motivazione. Successivamente all’Accordo di Villa Madama dell’84, il riconoscimento nell’ordinamento italiano delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale emesse da un tribunale ecclesiastico, diviene possibile solo dopo che sul provvedimento canonico vi sia stato il vaglio della Corte d’Appello italiana, ovvero il giudizio di delibazione. Circa la contrarietà all’ordine pubblico, si è posto in giurisprudenza il problema relativo alla delibazione delle sentenze di nullità nel caso di protratta convivenza dei coniugi. La protratta convivenza dei coniugi per almeno un anno, in alcuni specifici casi previsti dall’ordinamento italiano, è motivo di una eventuale nullità ex codice civile. Sul punto, nel 2011, vi è stato un primo contrasto dinnanzi alla Suprema Corte di Cassazione, in quanto da un lato, si affermava l’impossibilità di delibare la sentenza di nullità nel caso di protratta convivenza tra i coniugi, dall’altro, se ne affermava la possibilità. Tale contrasto è stato risolto nel 2014, dalle Sezioni Unite della Cassazione, mediante le pronunce gemelle nn. 16379 e 16380 del 17.07.2014 che hanno sancito, dopo aver preliminarmente evocato il principio di laicità dello Stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 203 del 1989, la quale aveva sottolineato la necessaria distinzione fra l’ordine temporale e quello spirituale, <<che la convivenza coniugale che si sia protratta per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, crea una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ordinarie di ordine pubblico italiano che sono fonti di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, anche genitoriali, e di aspettative legittime tra i componenti della famiglia. Pertanto, non può essere dichiarata efficace nella Repubblica Italiana la sentenza definitiva di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico per contrarietà all’ordine pubblico interno italiano>>8.

Alla luce di quando dedotto dal Supremo Consesso, pertanto, tra i principi di ordine pubblico individuati come ostativi all’attribuzione di efficacia civile alle pronunce canoniche di nullità, oltre alla buona fede del coniuge ignaro, senza colpa, dell’esclusione di elementi essenziali del matrimonio operata dall’altro coniuge, si annovera il criterio della prolungata convivenza. Quanto al concetto di convivenza, si specifica che questo deve essere qualificato da particolari requisiti, quali: l’esteriorità e la stabilità. Tali caratteristiche spiegano la ratio di tale sentenza, che è da ricercarsi nella volontà di mettere un freno all’abuso della procedura di delibazione. La pronuncia della Suprema Corte ha sollevato non poche critiche in dottrina, la quale ha fermamente affermato che la convivenza coniugale non può essere posta come principio fondante dell’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 123 c.c.. L’articolo in narrativa, invero, prevede espressamente la possibilità che la sentenza dichiarativa di nullità intervenga a distanza di un tempo considerevole dalla celebrazione, con la conseguenza che nello stesso lasso considerevole di tempo i coniugi abbiano coabitato. A supporto della tesi sostenuta dal Supremo Consesso, si potrebbe far riferimento al fatto che la volontà di coabitazione e l’effettività della stessa facciano sorgere in capo all’interessato una presunta rinuncia all’azione di impugnazione, sempre che al momento della celebrazione l’interessato abbia posto in essere un valido consenso. La sentenza n. 17910 del 1° giugno 2022 si mostra di segno contrario rispetto alla pronuncia precedente. Quest’ultima afferma che la sentenza emessa nel 2014 <<atteneva alla riserva di uno dei coniugi circa il carattere indissolubile del vincolo matrimoniale, e dunque ad un’ipotesi di nullità matrimoniale tale solo per il diritto canonico e non anche per il diritto italiano9>>.E, ancora, il Collegio osserva che «anche la nullità del matrimonio del bigamo o dell’incestuoso non sarebbe in assoluto pronunciabile ove vi sia stata una convivenza come coniugi per tre anni. Ed egualmente, per analoga ragione, non sarebbe suscettibile di delibazione la sentenza di nullità che nelle stesse condizioni e situazioni fosse stata pronunciata dal giudice ecclesiastico». Sulla base di tali premesse la prima Sezione della Corte ritiene che, del principio di diritto affermato con la ripetuta sentenza delle Sezioni unite n. 16379 del 2014 si debba dare una lettura più restrittiva , ravvisata nell’enunciato secondo cui la prolungata convivenza come coniugi, dopo il matrimonio, non può rilevare come limite generale per la delibazione di sentenze ecclesiastiche che abbiano accertato ipotesi di nullità del matrimonio previste come tali anche dall’ordinamento italiano, senza termini di decadenza o fattispecie di sanatoria. Dunque nel caso di specie, concernente un’ipotesi di nullità matrimoniale per errore doloso, veniva enunciato il seguente principio di diritto: <<la convivenza come coniugi, pur essendo elemento essenziale del ‘matrimonio-rapporto ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, e pur integrando una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, non è ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per vizi genetici del matrimonio-atto presidiati da nullità anche nell’ordinamento italiano; in particolare non è ostativa alla delibazione di sentenza ecclesiastica che accerti la nullità del matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge dovuto a dolo di questi, poiché una tale nullità non è sanabile, nell’ordinamento italiano, dalla protrazione della convivenza prima della scoperta del vizio>>. In altre parole, si rende necessaria una distinzione tra la condizione psicologica di chi, al momento del matrimonio, abbia escluso proprietà o elementi essenziali del matrimonio stesso, e la situazione dell’altro coniuge, che invece è ignaro delle intenzioni escludenti dell’altro e quindi inconsapevole dei motivi di invalidità del legame. In tal caso, non si può configurare una rinuncia a far valere un difetto di consenso che non era conosciuto, né una sanatoria del vizio originario per il solo fatto che sia passato del tempo, diversamente da quanto affermato dalla Corte di Cassazione riguardo l’efficacia preclusiva della lunga convivenza matrimoniale10.E’tutt’ora oggetto di discussione dottrinale e giurisprudenziale la diversità delle cause di nullità matrimoniale previste dal diritto canonico rispetto a quelle di diritto civile. Si tratta dunque di un tema che richiede una costante ricerca di equilibrio fra il rispetto dell’autonomia della Chiesa e la tutela dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statale.

In questo già complesso quadro giurisprudenziale si inserisce la giurisprudenza più recente che resta ancora ”ballerina” in argomento.

  1. Sentenza n. 28308/2023: Convivenza prolungata e nullità del matrimonio concordatario

Questa sentenza ribadisce un principio importante: se un matrimonio concordatario (celebrato secondo il rito cattolico e riconosciuto dallo Stato italiano) ha avuto una convivenza di almeno tre anni, non è possibile ottenere la delibazione (il riconoscimento) di una sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio per un vizio genetico dell’atto matrimoniale.

In pratica, la convivenza prolungata viene considerata un elemento che consolida il “matrimonio-rapporto”, superando eventuali vizi originari del “matrimonio-atto”. La Cassazione, in questa sentenza, si rifà al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nelle sentenze “gemelle” n. 16379 e n. 16380 del 2014, che avevano già stabilito questo limite temporale.

Questa decisione mira a tutelare la stabilità dei rapporti familiari e ad evitare che matrimoni consolidati nel tempo possano essere facilmente resi nulli. Inoltre questa sentenza ha anche un peso specifico per quanto riguarda la delibazione delle sentenze di nullità ecclesiastiche, in quanto ne limita di fatto l’applicabilità in determinati casi.

  1. Sentenza n. 149/2023: Convivenza, nullità per incapacità psichica e ordine pubblico

Questa sentenza si concentra sulla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, in particolare quando la nullità è dichiarata per incapacità a contrarre matrimonio a causa di problemi psichici. La Cassazione ha stabilito che la convivenza “come coniugi” è un elemento essenziale del “matrimonio-rapporto” e, se dura almeno tre anni, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”. Tuttavia, nel caso specifico di nullità per incapacità psichica, la convivenza ultratriennale non è considerata un ostacolo alla delibazione della sentenza ecclesiastica. Questo perché tale motivo di nullità è previsto anche nell’ordinamento italiano e non può essere sanato dalla convivenza.

La sentenza distingue tra diversi motivi di nullità, riconoscendo che alcuni (come l’incapacità psichica) non possono essere superati dalla durata della convivenza.

Questa decisione cerca di bilanciare la tutela della stabilità familiare con il riconoscimento di situazioni in cui il consenso matrimoniale era viziato fin dall’inizio. Inoltre evidenzia come l’ordinamento italiano tenga in considerazione anche i vizi di forma di un matrimonio, specialmente quando questi sono riconosciuti anche dall’ordinamento italiano.

  1. Ordinanza del 27 maggio 2024, n. 14739

La Suprema Corte si è pronunciata nuovamente sul tema, confermando il principio di diritto affermato nel 2014 dalle Sezioni unite secondo il quale, la convivenza che si protrae per oltre tre anni blocca la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio per contrarietà all’ordine pubblico poiché, la convivenza è un elemento essenziale del matrimonio-rapporto e se si protrae per almeno tre anni dal momento della celebrazione del matrimonio concordatario, impedisce la delibazione perché la dichiarazione di efficacia risulta contraria all’ordine pubblico italiano. L’ordinanza è stata emessa a seguito di un ricorso promosso da un coniuge il quale, si opponeva al no pronunciato dalla Corte di appello alla delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico circa la nullità del matrimonio. Precisato che la convivenza non è di per sé una situazione che automaticamente impedisce la delibazione perché, nel caso di vizi genetici, il giudice italiano sarà tenuto a dare efficacia alla pronuncia di nullità, in particolare nei casi di un vizio psichico che renda incapaci e che corrisponda a uno dei motivi previsti dall’ordinamento italiano che giustificano la nullità del matrimonio. La Suprema Corte ha puntualizzato, però, che non basta un qualsiasi deficit della volontà e della personalità perché è necessario che il vizio determini un “difetto di capacità di intendere e di volere previsto dall’articolo 120 del codice civile”: solo in questo caso, infatti, il coniuge non è in grado di valutare la rilevanza e la conseguenza dell’impegno che assume con il matrimonio. La nozione di convivenza, inoltre, va intesa secondo le regole della Costituzione, dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Respinto così il ricorso e confermato il no alla delibazione della sentenza ecclesiastica11.

  1. Ordinanza del 28 gennaio 2025, n. 1999

La continua evoluzione della materia ha portato ad un nuovo pronunciato da parte della Suprema Corte, nell’ordinanza del28 gennaio 2025 viene ribadito che, la stabile convivenza non preclude la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. Non è la convivenza ultratriennale in sé a costituire un limite di ordine pubblico alla delibazione in Italia di sentenze di nullità per vizi di capacità, integrato dalla mera deficienza caratteriale o immaturità del coniuge, ma solo quei vizi che originino da un deficit psichico, ossia da uno stato patologico idoneo a incidere sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul corretto formarsi della sua volontà cosciente, la cui valutazione è rimessa al giudice del merito. È, pertanto, compito di quest’ultimo verificare se la causa di nullità del matrimonio ecclesiastico sia da qualificarsi come incapacità di valutare ex ante la rilevanza del vincolo matrimoniale, analogo a un deficit psichico, ovvero a uno stato patologico idoneo a incidere sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul corretto formarsi della sua volontà cosciente, oppure se costituisca una mera deficienza caratteriale o mera immaturità del coniuge, causa di nullità, quest’ultima, che incontra il limite dell’ordine pubblico in caso di convivenza ultratriennale. Con tale ordinanza n. 1999/2025 della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, si è chiarito un aspetto importante relativo alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio in Italia, in particolare quando la convivenza tra i coniugi sia prolungata. La Cassazione ha stabilito che la convivenza prolungata di per sé non costituisce più un ostacolo assoluto alla delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità a differenza di quanto veniva stabilito in precedenza, considerandola un limite all’accoglimento di tali sentenze. L’ordinanza pone una distinzione cruciale tra vizi derivanti da un deficit psichico, ovvero da uno stato patologico che incide sulla capacità di intendere e volere e, vizi derivanti da mera deficienza caratteriale o immaturità. Solo quest’ultimi, incontrano il limite dell’ordine pubblico in caso di convivenza ultra-triennale. Spetta al giudice di merito valutare caso per caso la natura del vizio che ha portato alla nullità del matrimonio ecclesiastico. Il giudice deve stabilire se la causa di nullità sia equiparabile a un deficit psichico o se rientri nella sfera della mera immaturità. Questa ordinanza rappresenta un’evoluzione nella giurisprudenza italiana, offrendo una maggiore flessibilità nella delibazione delle sentenze ecclesiastiche. Consente di riconoscere la validità di sentenze di nullità anche in casi di convivenza prolungata, a condizione che i vizi di capacità siano di natura tale da compromettere la validità del consenso matrimoniale12.

1P. Palumbo, La sovranità della Chiesa cattolica alla prova delle corti italiane, in La sovranità (a cura di G. Tarantino), Giappichelli, Torino, 2015, pagg. 35 e segg.

2C. Contini, La delibazione della sentenza ecclesiastica:concetto di delibazione, in https://www.studiolegalecotini.it/matrimonio-concordatario-delibazione-della-sentenza-ecclesiastica.htm);

3 Corte Costituzionale, sentenza n. 18, 2 febbraio 1982;

4P. Palumbo, Diritto processuale canonico, in M. D’Arienzo (a cura di), Manuale di Diritto Canonico, Giappichelli, Torino, 2025, pagg. 171 e segg.

5T. Auletta, Diritto di famiglia, edizione 2020; cfr. anche Cass. Civ., sez. unite, sentenza n. 19809, 19 luglio 2008;

6C. Contini, , La delibazione della sentenza ecclesiastica:concetto di delibazione, cit.

7T. Auletta, Diritto di famiglia, cit.

9Cass. Civ., sentenza n. 17910, 1 giugno 2022.

10R. Santoro, Corte di Cassazione: delibazione e tre anni, cit.

11M. Castellaneta, Nullità del matrimonio e limite dell’ordine pubblico: la convivenza blocca la delibazione, (http://www.marinacastellaneta.it/blog/nullita-del-matrimonio-e-limite-dellordine-pubblico-la-convivenza-blocca-la-delibazione.html).

POTREBBE INTERESSARTI