A cura di Rachele Martinelli
Steve Madden non potrà più commercializzare, vendere, esportare o importare le sue scarpe “Grand Ave” in Danimarca in virtù della normativa locale del copyright.
È questa la decisione della Maritime and Commercial High Court danese che lo scorso 9 agosto ha, per la prima volta, riconosciuto il diritto di autore su un bene di moda.
Il centro della vicenda è rappresentato dalla famosa “Buckle Ballerina” del brand danese GANNI.
Quest’ultima, azienda attiva nel settore delle calzature, ha lanciato sul mercato nel 2021 la nota “Ballerina Buckle”, che ha, fino all’agosto del 2024, generato vendite per oltre 13 milioni di DKK.
Il design è stato registrato nell’Unione Europea nell’agosto del 2023. Nella stessa estate, Steve Madden ha realizzato la sua scarpa “Grand Ave”, all’apparenza molto simile alla “Buckle”.
GANNI si è quindi rivolto ai tribunali danesi al fine di ottenere un’ingiunzione che impedisca al colosso americano di continuare a commercializzare la calzatura.
In questo senso, la maison danese rivendica una violazione delle norme sul copyright alla luce delle somiglianze tra le due scarpe.
Entrambe presentano la punta affilata e il bordo piatto, una suola più larga dal colore diverso del resto della scarpa, due cinturini, uno vicino alle dita e l’altro sopra il collo del piede, uno con la fibbia metallica e occhielli metallici su ciascun cinturino collegati da cuciture ben visibili, una cinghia sopra il tallone, una soletta interna beige con il contorno di colore diverso e la superficie di pelle lucida. Inoltre, entrambi i brands propongono le calzature negli stessi colori.
Giova sottolineare che la descrizione delle scarpe è un punto cruciale, i legali del marchio danese hanno sostenuto che la scarpa di Madden rappresenta una brutta imitazione della “Buckle Ballerina”, dal momento che molti dei dettagli presenti su entrambi i prodotti non hanno alcuna funzione ma sono esclusivamente estetici.
Non ci sono dubbi per gli avvocati di GANNI: Madden ha ricreato l’impressione generale della scarpa dello stilista danese.
La Corte, sostenendo che il design di un capo di moda equivale a un’espressione della creazione intellettuale dello stilista, ha ritenuto che gli elementi caratterizzanti la scarpa di GANNI fossero stati assemblati in maniera totalmente originale, mai vista prima. Più in particolare, la “Burke Ballerina” presenta delle unicità che evidenziano l’inventiva e il gusto dello stilista; il contrasto tra la forma delicata della ballerina con la punta affilata e il cinturino posteriore da un lato e la durezza della suola e del tallone insieme alle fibbie di ispirazione punk, è “an expression of the designer’s own intellectual creation”. Proprio per questo la “Buckle Ballerina” è protetta dalla normativa del diritto d’autore in virtù della legge danese. D’altra parte, la stessa, già a partire dal lancio sul mercato, è stata pubblicizzata in varie riviste di moda e sui social; ed è forse anche per questo che il fatturato dichiarato è di oltre 13 milioni di DKK.
Non vi sono dubbi secondo la Corte: la scarpa gode di un carattere distintivo, di una identità commerciale e una posizione sul mercato tale da essere protetta dal “Danish Marketing Practices Act”.
Alla luce di quanto rappresentato, la Corte ha sostenuto che, avendo la “Grand Ave” la stessa espressione della “Buckle Ballerina”, le due sono in grado di generare nel consumatore uno status di confusione.
La vicenda impone di soffermarsi su alcuni punti.
GANNI è uscito vincitore pur non essendo stato in grado di documentare che la progettazione della scarpa di Madden fosse ispirata alla propria Ballerina. In questo senso, come ricordato dalla difesa del colosso americano, vi sono delle differenze tra le due calzature, prime fra tutte il prezzo che, come ammesso dalla stessa Corte, non rientra nella stessa fascia (solo per fare un confronto con gli euro la scarpa di GANNI ha un costo di 345,00 euro mentre quella di Madden di 128,00)
La disciplina del diritto d’autore per i capi di moda
La decisione, a ben guardare, rafforza maggiormente quanto già statuito dalla CGUE nella celebre sentenza Cofemel la quale, in via definitiva, ha statuito che anche i capi di abbigliamento devono qualificarsi quali “opere” protette dal diritto di autore.
Non si può non rilevare che una simile pronuncia ha un impatto dirompente nel mondo del fashion, dove i diritti di proprietà intellettuale rappresentato uno dei pilastri per il corretto funzionamento del settore, specialmente con riferimento alle imitazione di capi di moda.
Nel nostro ordinamento la disciplina del diritto di autore si ricava principalmente dalla L. 633/1941, oltre che dalle norme del Codice civile.
A livello europeo, devono essere richiamate la Direttiva n. 93/98/CEE, n. 2001/29/CE e la n. 2019/790/UE.
Per completezza ricostruttiva, si ricorda che il copyright è il diritto esclusivo di produrre, riprodurre, pubblicare o eseguire un’opera originale o artistica. Affinché possa essere riconosciuta la protezione del diritto di autore sono necessari due presupposti:
-
l’opera deve costituire la creazione intellettuale propria dell’autore;
-
l’opera deve essere espressione della creazione originale.
Ai sensi del art. 1 della L. 633/41 “sono protette dal diritto di autore le opere di ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”.
Alla luce della norma, nel mondo della moda, il copyright sicuramente proteggerà le immagini grafiche, le stampe e le fotografie sui tessuti.
Allo stesso modo, ricadono nel campo di applicazione dello stesso, i contenuti sui siti web, gli elenchi dei clienti, i materiali promozionali, gli album di schizzi, i books e gli shooting.
Solo per fare un esempio pratico di attuazione della disciplina sopra richiamata al mondo del fashion, è d’obbligo richiamare, la già citata, decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Cofemel1. G-Star ha accusato Cofemel di aver sostanzialmente riprodotto e, pertanto, copiato il design di jeans, felpe e t-shirt tipici dell’azienda olandese.
I legali di G-Star hanno sostenuto che i modelli di tali capi costituiscono delle creazioni intellettuali originali da qualificarsi come “opere” protette dalla legge nazionale sul diritto di autore.
Dall’altra parte, Cofemel ha sostenuto che tali prodotti non possono essere qualificati come “opere” e, conseguentemente, essere protette da copyright.
L’autore del prodotto è colui che lo ha realizzato grazie alle proprie qualità professionali e artistiche.
Lo stesso gode del diritto esclusivo di utilizzare l’opera in ogni forma e modo, nei limiti della legge2.Viene così riconosciuto anche il diritto di riprodurre3, distribuire4, elaborare e modificare5.
Ancora, è evidente che soltanto all’autore è riconosciuto il diritto di sfruttamento finanziario e morale di paternità dell’opera.
Nella motivazione, la CGUE, qualora ricorrano, in maniera cumulativa, i due elementi di cui sopra, il bene può beneficiare della tutela del diritto d’autore.
Ciò basta secondo la Corte e, pertanto, devono essere qualificati come “opere”, ai sensi della direttiva n. 2001/29, i modelli e disegni qualora soddisfino i presupposti dell’originalità e dell’identificabilità.
A valle di quanto rappresentato, ciò ha permesso di estendere, a livello europeo, la protezione del diritto di autore ai capi di abbigliamento.
Tutto qui? Assolutamente no!
Non si può non rilevare, infatti, che la pronuncia Cofemel ha un impatto quanto più che mai forte nel nostro ordinamento ove la normativa nazionale, all’art. 2 n. 10 Legge del diritto d’autore, richiede un ulteriore requisito: quello del “valore artistico”. Quest’ultimo, solitamente, viene ravvisato dalla giurisprudenza soltanto in quelle opere che godono di un particolare apprezzamento da parte del pubblico e hanno ottenuto riconoscimenti in ambito culturale. È evidente che una simile impostazione comporta il riconoscimento della tutela solo a opere presenti sul mercato da un lungo periodo di tempo, negandola, viceversa, a tutte quelle più recenti, peraltro in apparente violazione del principio di uguaglianza tutelato ex art. 3 Cost.
1 CGUE del 2019 in Cofemel contro G-Star Raw (C-683/17)
2 Art. 12 L. n. 633/1941
3 Art. 13 L. n. 633/1941
4 Art. 17 L. n. 633/1941
5 Art. 18 L. n. 633/1941