La Camera dei Deputati in data 3 Aprile ha approvato, con 461 voti a favore e nessuno contrario, l’emendamento sul revenge porn [1] nell’ambito dell’esame del d.d.l. recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” [2].
Il testo approvato prevede, dunque, l’inserimento dell’art. 612 ter c.p. (rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”) il quale stabilisce che: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o il video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio».
Viene descritta in modo analitico la condotta di chi oltre ad aver realizzato, ricevuto o sottratto immagini/video, dal contenuto sessualmente esplicito, pubblica o diffonde le immagini ed i video in questione senza il consenso della persona; resta, dunque, esclusa la sola detenzione del materiale ad uso personale. Si strutturano, dunque, due distinte ipotesi di condotta in base alla modalità in cui il soggetto entrata in possesso delle immagini: chi ha contribuito alla realizzazione o chi le abbia sottratte; la condotta di chi ha ricevuto e/o acquistato il materiale incriminato per poi divulgarlo, configurandosi in tal caso la sussistenza di un (seppur embrionale) dolo specifico [3].
Un tema centrale ai fini della realizzazione della fattispecie di reato in questione è il consenso della persona: infatti ai fini della sussistenza del reato è necessario aver divulgato le foto e/o video senza il consenso delle persone rappresentate: il consenso di quest’ultimo, dunque, esclude il reato e la formazione del fatto tipico, dovendo essere espresso, libero, spontaneo e non viziato da errore/dolo/violenza.
L’introduzione di una simile fattispecie normativa, in conclusione, sembra dunque auspicabile, soprattutto in un’ottica di maggior tipizzazione del comportamento incriminato: il Diritto Penale ha l’obbligo di evolversi in maniera direttamente proporzionale anche nei confronti delle nuove tecnologie nelle comunicazione (si faccia l’esempio di Facebook, Telegram, Whatsapp) [4]; le difficoltà di adeguare la normativa penale all’evoluzione storica e sociale della società odierna vengono sopperite dall’attività del giudice, il quale è chiamato ad operare un’opera di interpretazione estensiva al fine di tutelare i consociati dall’esistente e pericoloso vuoto normativo in materia. In assenza di una tutela normativa specifica e ben tipizzata il revenge porn può essere ricondotto in variegati ambiti applicativi: dalla minaccia, alla violenza privata, dall’estorsione alla diffamazione a mezzo di pubblicità; nessuna di queste ipotesi permette, però, una tutela specifica della riservatezza della sfera sessuale personale lesa dal comportamento in questione.
Breve analisi del d.d.l. 1200: c.d. Codice Rosso
Come anticipato, dunque, la norma rappresenta una delle principali novità del c.d. Codice Rosso – “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” – approvato dalla Camera dei deputati in data 3 aprile del 2019 ed ora all’esame del Senato.
Il D.d.l. in questione mira innanzitutto ad una più efficiente e celere tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, prevedendo come entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato il PM assuma informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza[5].
Si disciplina, inoltre, un inasprimento delle pene per determinate tipologie di reati: per la violenza sessuale la reclusione è aumentata a 6/12 anni; per lo stalking, da un minimo di 1 anni ad un massimo di 6 anni e mezzo; per le botte in famiglia, dai 3 ai 7 anni.
Viene poi introdotto l’art. 583-quinquies rubricato “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, per cui: «chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni» [6].
Altra fattispecie di reato introdotta è quella prevista all’art. 558-bis., rubricato “Costrizione o induzione al matrimonio” per cui: «chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia».
[1] Sul punto vedi anche Alessia Di Prisco, “Sexting e Revenge Porn: tutela delle vittime secondo l’ordinamento italiano”, in Ius in Itinere.
[2] Cfr. Raffaele Alessandro Mancuso, “Revenge porn: la nuova fattispecie di reato”, in Altalex.
[3] Sul punto si veda Gian Marco Caletti, “Revenge porn”. Prime considerazioni in vista dell’introduzione dell’art. 612-ter c.p.: una fattispecie “esemplare”, ma davvero efficace?, in Penale Contemporaneo.
[4] Sul punto Mario Cotelli, “Pornografia domestica, sextinge revenge pornfra minorenni. Alcune osservazioni dopo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 51815/18”, in Giurisprudenza Penale.
[5] Si veda l’approfondimento del Quotidiano del 3 Aprile 2019:
[6] Si veda il testo del d.d.l.: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01107220.pdf
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