L’attività di diritto privato della Pubblica Amministrazione è fortemente influenzata dal vincolo finalistico tipico dell’azione amministrativa: la cura dell’interesse pubblico. Questo condizionamento fa sì che vi sia sempre un “momento pubblicistico”, intangibile ed ineludibile, a monte dell’azione amministrativa ed è in quest’ottica che l’evidenza pubblica si inserisce come meccanismo a tutela dell’interesse pubblico, garantendo che la scelta della controparte della P.A. avvenga in conformità dei principi cardine dell’azione amministrativa.
In quest’ambito tra gli strumenti a disposizione della P.A. ritroviamo l’appalto e la concessione. Il primo è definito dall’art. 3 lett. ii) del Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs 50/2016) come <<contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, avente per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi>>. La concessione invece, secondo l’articolo 3 comma lett. uu) e vv), è sì anch’essa un contratto a titolo oneroso che può avere ad oggetto sia la progettazione e l’esecuzione di lavori sia la fornitura e la gestione di servizi[1] ma in questo caso, il concetto di onerosità è permeato dall’aleatorietà derivante dal rischio di gestione.
Mentre l’appalto risulta caratterizzato da una prestazione idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico, facente capo alla stazione appaltante, e dall’obbligo di un corrispettivo a favore dell’appaltatore, la concessione comporta il diritto del concessionario di gestire l’opera o il servizio ed è intrinsecamente connotato da un rischio operativo di gestione tale da implicare l’incertezza circa il recupero del capitale speso per la stipula del contratto con l’utenza ossia il corrispettivo dell’opera o del servizio non deriva dalla P.A. ma da soggetti terzi.
Nell’appalto il rapporto instaurato viene definito come bilaterale (P.A.<–>Appaltatore), spesso contrapposto al rapporto trilaterale delle concessioni(P.A.->Concessionario->Utenza). Tuttavia, per la distinzione tra gli appalti di servizi e le concessioni di servizi, non sempre quest’ultimo criterio è agevole; come ad esempio nel caso del servizio di gestione dei rifiuti dove l’affidatario riceve un corrispettivo dalla P.A. e l’utente paga una tariffa. In questo caso si ricorre ad una concezione oggettiva del destinatario del servizio verificando che questo coincida con la P.A. in quanto tale (appalto) ovvero con l’utenza (concessione).
Entrambe queste figure sono assoggettate alle regole dell’evidenza pubblica; l’art. 164 comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici infatti, stabilisce che <<Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione.>>
Sul versante processuale il legislatore italiano ha predisposto un rito speciale agli artt. 120-125 del c.p.a. L’art. 119 del c.p.a, rubricato <<rito abbreviato comune a determinate materie>> al comma 1 lettera a) stabilisce che <<le disposizioni del presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture ,salvo quanto previsto dagli articoli 120 e seguenti>> e di seguito l’art. 120 c.p.a è rubricato <<disposizioni specifiche ai giudizi di cui all’art. 119 comma 1 lettera a>>:
il perimetro applicativo di queste disposizioni ricomprende sia le procedure di aggiudicazione degli appalti che le procedure di affidamento delle concessioni?
A questo quesito ha risposto l’Adunanza Plenaria con la sentenza n.22/2016, risolvendo un contrasto giurisprudenziale tra una lettura restrittiva dell’ambito applicativo dell’art. 119 c.p.a – escludendone l’applicazione anche alle concessioni – ed una lettura più ampia comprensiva delle stesse.
Il caso nasce dalla dichiarazione di irricevibilità di un ricorso avverso l’affidamento di una concessione poiché intervenuto oltre il termine di decadenza di 30 giorni previsto dall’art. 120 c. 5 del c.p.a. considerato applicabile al caso dai giudici di prima istanza. Impugnata la decisione innanzi al Consiglio di Stato, il ricorrente sosteneva <<l’estraneità delle procedure di concessione dei servizi pubblici dall’ambito applicativo degli artt. 119 e 120 c.p.a, insistendo per la concessione del beneficio dell’errore scusabile e ribadendo i vizi originariamente denunciati>>.
Nel caso di specie si trattava dell’affidamento di una concessione di servizi, occorreva dunque verificare se, nel dettato dell’art. 119 c. 1 lett. a) <<provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture>>, rientrassero anche i provvedimenti riguardanti le procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi.
Reinviata la questione alla Plenaria, l’attività ermeneutica intrapresa dal Collegio s’incentra subito sulla specialità del rito la quale si realizza con la previsione di tempi più brevi rispetto a quelli ordinari, configurando così <<un sistema processuale che permetta la definizione del giudizio in tempi certi e contenuti, in ragione degli interessi pubblici implicati>>. In considerazione del carattere derogatorio della disciplina l’Adunanza Plenaria ha richiamato la <<necessità di seguire canoni di stretta interpretazione>> per le norme eccezionali (Cassazione Civile SS. UU n.27863/2008) soprattutto per la “compressione” che da dette norme subisce il diritto di difesa.
Infatti, proprio quest’ultimo punto impedisce al Collegio una lettura della normativa tale da comportare una sua estensione ad <<ambiti non direttamente segnati dal significato letterale delle espressioni lessicali utilizzate, così come preclude di ricavare, in esito a un’indagine che valorizzi la ratio della disposizione descrittiva, con valenza tassativa, delle controversie regolate dal rito speciale, effetti prescrittivi diversi da quelli direttamente riferibili al senso delle parole usate>>; agendo diversamente si correrebbe il rischio di assegnare alle disposizioni un significato diverso da quello ricavabile dalla loro lettura nonostante configurino restrittivamente l’esercizio del diritto di difesa.
Le procedure di affidamento, indicate all’art.119 c.1 lett.a), trovano nell’art 3 lett. rrr) del D.lgs 50/2016 puntuale definizione: <<Le “procedure di affidamento” e l’ ”affidamento” comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l’affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee>>. Dunque, poiché la “locuzione controversa” è oggetto di una puntuale definizione in <<altro provvedimento normativo>> l’interprete deve ritenersi vincolato.[2]
Era possibile arrivare alla medesima conclusione sia solo per il tramite del termine “affidamento”[3] sia indagando sulla ratio del rito speciale; in relazione a quest’ulteriore percorso infatti, sia le esigenze di una <<sollecita definizione dei giudizi (“più veloci” saranno i giudizi, prima l’atto riacquisterà stabilità) aventi ad oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all’esercizio di funzioni pubbliche che implicano la cura di interessi generali particolarmente rilevanti>> sia di una tutela giurisdizionale “più effettiva” nonché della tutela della concorrenza, sono riferibili non solo alle controversie relative agli appalti ma anche a quelle relative alle concessioni.[4]
[1] in quest’ultimo caso non devono coincidere con gli appalti pubblici di lavori alla lettera ll) dello stesso articolo.
[2] <<In particolare, quando l’istituto richiamato in un atto normativo abbia già ricevuto una definizione chiara del suo significato e una autonoma disciplina sostanziale in un diverso provvedimento legislativo, l’interprete, in difetto di indizi significativi di una diversa volontà del legislatore, deve stimare quel richiamo coerente con la formula definitoria già vigente.>>
[3] << La parola “affidamento”, infatti, se usata senza ulteriori precisazioni o limitazioni del suo oggetto (come nella fattispecie in esame), dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto.
La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni>>.
[4] << le ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti>>.