27 Aprile 2025
27 Aprile 2025

Il licenziamento per giusta causa fondato sul video postato in una chat di gruppo è illegittimo

A cura di Federico Fornaroli

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 5334/2025, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa al lavoratore per aver manifestato, tramite video postato in una chat di gruppo chiusa fra colleghi, un messaggio denigratorio nei confronti dell’aspetto fisico di una cliente di cui il datore ha avuto contezza solamente attraverso il messaggio inoltrato da un collega appartenente a tale chat.

A detta degli Ermellini, infatti, una simile decisione è fondata sulla violazione del principio di rango costituzionale di segretezza delle comunicazioni scambiate tra privati.

Segnatamente, la natura riservata e protetta dei contenuti condivisi all’interno della chat di gruppo è rappresentata e confermata dalla stessa modalità adottata dai lavoratori, ossia WhatsApp, che è uno strumento cui possono accedere solo i membri ammessi dall’amministratore del gruppo medesimo.

Per l’effetto, trova piena integrazione il disposto di cui all’art. 15 della Costituzione, stante la palese e inequivoca “volontà della mittente di escludere terzi dalla conoscenza del messaggio”, che “soddisfano il requisito della segretezza della corrispondenza”. E ciò, malgrado l’asserito e “potenziale rischio per l’immagine aziendale e la potenziale lesione dell’immagine della cliente”, giacché si tratta di elementi cedevoli rispetto alla summenzionata guarentigia accodata al dipendente.

Del resto, per la Cassazione, la tutela del succitato diritto costituzionale non può delimitarsi “a una lettera inserita in una busta chiusa”, ma deve estendersi a qualsivoglia strumento che perimetri la pletora di soggetti autorizzati ad accedere ai contenuti trasmessi o scambiati nell’ambito di un gruppo predeterminato.

Quanto precede, d’altronde, si ancora ad un excursus giurisprudenziale e normativo che trae origine da orientamenti già esistenti sia a livello internazionale (CEDU) sia formulati dalla Corte Costituzionale, nonché dalla Cassazione medesima (per es., la n. 21965/2018).

Tant’è, che anche con una sorta di pronuncia gemella (n. 5396/2025), gli Ermellini sono giunti a ribadire quanto suesposto.

Pertanto, ove un’azienda intenda procedere in maniera analoga all’antescritta, sarà fondamentale verificare preliminarmente la genesi della fonte che potrebbe implicare la decisione nei riguardi del lavoratore, poiché la derivazione da un contesto ristretto come un gruppo di WhatsApp potrebbe facilmente impedire qualsiasi azione verso detto soggetto.

POTREBBE INTERESSARTI