Ndr: Questo è il primo di due articoli volti ad analizzare il delitto di omessa consegna o deposito di cose del fallimento da parte del curatore fallimentare.
L’art. 230 l.f. sanziona il curatore che non ottempera all’ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altre cose del fallimento che egli detiene a causa del suo ufficio.
Si tratta di un reato che, analogamente a quanto avviene per la fattispecie di cui all’art. 229 rispetto al delitto di corruzione, è sintomo della volontà del legislatore di avanzare la soglia di punibilità del curatore anche a quelle situazioni di fatto che, pur non concretandosi in una reale appropriazione dei beni del fallimento in misura tale da determinare il reato di peculato, ne costituiscono in ogni caso la potenziale premessa[1].
Di fatti, la ratio di questa norma risiede, oltre che nella tutela del regolare svolgimento della procedura fallimentare, proprio nell’esigenza di estendere la tutela penale a quelle situazioni di fatto nelle quali, se pur non si è di fronte ad un’appropriazione od una distrazione di beni della curatela, vengono comunque compiuti atti che, specialmente nell’ipotesi dolosa, ne possono costituire una premessa[2].
L’elemento oggettivo
Dal punto di vista oggettivo è, innanzitutto necessario che vi sia un ordine espresso del giudice al curatore per il deposito o la consegna di somme o di dare altre cose del fallimento[3].
In relazione a questo elemento, la prima questione è se sia necessario che il giudice abbia fissato un termine per tale consegna.
A tal proposito, sono da segnalare ipotesi contrastanti in dottrina.
Secondo alcuni, infatti, non è necessaria la presenza di un termine sussistendo la violazione penale anche in assenza dello stesso laddove la condotta omissiva del curatore sia reiterata nel tempo in presenza di continue richieste provenienti dal giudice[4].
Per altri, invece, è indispensabile la fissazione di un termine entro il quale la consegna od il deposito cui si riferisce vada effettuato. Tuttavia, si è aggiunto come non sia necessario un riferimento temporale preciso, con l’indicazione di una data, essendo sufficiente l’utilizzo di formule generiche quali «immediatamente», «senza ritardo», ecc. essendo queste indicative della volontà del giudcie che si faccia luogo alla consegna non avendo il curatore alcun potere di dilazionarla[5].
Sul punto, la giurisprudenza in un’unica occasione ha indicato come non si richieda la fissazione da parte del giudice di un termine per la sua esecuzione.
Si è aggiunto, in tale decisione, come la prefissione del termine sia di certo opportuna al fine di evitare incertezza sul momento consumativo del reato, ma che non è necessaria, dal momento che la responsabilità del curatore può essere desunta dal comportamento omissivo dello stesso, specie dopo il decorso di un lungo periodo di tempo[6].
Tali posizioni appaiono essere frutto di un contrasto più formale che sostanziale, valutando entrambe che l’assenza di un termine preciso in ordine al momento della consegna non esclude la rilevanza penale dell’omissione in presenza, comunque, di una chiara volontà del giudice di ottenere la consegna del bene richiesto.
L’ordine può avvenire con qualsiasi forma, anche verbale, purchè sia una manifestazione inequivoca della volontà dell’organo giurisdizionale di cui il curatore abbia contezza.
In particolare, secondo parte della dottrina l’ordine può provenire solo dall’autorità giudiziaria competente sul fallimento, essendo tale norma diretta a tutelare il regolare svolgimento della procedura fallimentare[7]. Per altri, invece, questo può provenire anche da un giudice penale, compreso il pubblico ministero, tenendo conto dell’ampiezza della formula legislativa e del naturale legame che si crea tra curatore e magistrato.
Il tutto, per quest’ultima posizione, dovendosi, in ogni caso, escludere questa fattispecie laddove il rifiuto del curatore sia determinato dal rifiuto del tribunale fallimentare o del giudice delegato di autorizzare questo deposito[8].
[1] Quatraro-D’Amora, Il curatore fallimentare, 684.
[2] Cass., sez. VI, 14.10.1981/2.7.1982, n. 6568, Frascolla, in Ced Cass., Rv. 154433.
[3] Cass., sez. V, 13.12.1979/22.2.1980, n. 2677, Ippolito, in Ced Cass., Rv. 144468.
[4] Quartaro-D’Amora, Antolisei.
[5] Santoriello, Cadoppi, Sandrelli.
[6] Cass., sez. V, ord. 18.1.1971, n. 50, Alberini, in Ced Cass., Rv. 117600.
[7] Santoriello.
[8] Antolisei.