La responsabilità civile dei magistrati dopo la legge 27 febbraio 2015, n. 18
Giuseppe Gulotta, ventidue anni in carcere, innocente.
Giancarlo Noto, un anno e tre giorni in carcere, innocente.
Bruno Trunfio, tre settimane in carcere, innocente.
Maria Andò, nove giorni in carcere, innocente.
(Dati su http://www.errorigiudiziari.com/ )
La lista è lunga, quella degli errori giudiziari commessi dai magistrati in Italia, prima le sentenze di condanna, poi quelle di assoluzione, prima il carcere, poi la libertà; per i colpevoli assolti un lungo iter di agonia.
Scambio di persona, testimonianze false, pressioni di gruppi di interesse, analisi forense errate, false confessioni estorte sono tra i più comuni errori che hanno causato 24 mila innocenti in cella negli ultimi 24 anni.
Cifre sconcertanti come quelle degli indennizzi che lo Stato ha pagato per ingiusta detenzione, circa 630 milioni di euro, 270 euro per ogni giorno ingiustamente trascorso in carcere e 135 euro ai domiciliari.
La storia è sempre la stessa, un presunto colpevole condannato, talvolta anche in giudicato, viene poi assolto perché identificato il vero colpevole del reato.
Tutto ciò è sintomo di un’inefficienza del sistema giudiziario, per cui spesso nessuno paga.
Dalla fine degli anni ‘80, con la legge 13 aprile 1988, n. 117 (c.d. legge Vassalli) successivamente modificata nel 2015, i magistrati sono chiamati a rispondere della loro negligenza secondo l’art. 2 che statuisce “chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario, posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.”
Si tratta di una legge promulgata in seguito al referendum del 1987 in attuazione dell’art. 28 della Costituzione italiana secondo cui “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti”. In realtà sarebbe più corretto parlare di una responsabilità indiretta – alcuni parlano di responsabilità concorrente Stato-magistrato – per cui il cittadino esercita la sua azione risarcitoria nei confronti dello Stato, il quale solo in un secondo momento potrà rivalersi sul magistrato per una cifra che non superi la metà del suo stipendio annuale (prima 1/3).
Gli artt. 314 e 315 c.p.p. riconoscono al cittadino vittima di “malagiustizia” un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere un’equa riparazione per il danno subito tramite un’azione che si articola in sei gradi di giudizio: tre per individuare la responsabilità del singolo magistrato, e tre per l’eventuale (oggi è un obbligo) rivalsa sul condannato.
Eventuale, perché fino al 2015, su 406 cause avviate dai cittadini, 34 dichiarate ammissibili e 4 condanne, a pagare non è mai stato il singolo magistrato, bensì lo Stato.
La riforma del 2015 ha abrogato l’art. 5 della legge Vassalli eliminando la cosiddetta udienza filtro relativa all’ammissibilità della domanda che aumentava a nove i gradi di giudizio rendendo oggi più celere, ma altrettanto più rischiosa, l’azione del cittadino. Non esiste più, a seguito della riforma, una linea di confine tra la tutela della vittima e l’azione temeraria di chi ricorre ingiustificatamente contro un giudice.
Viene forse meno quel principio di autorità e indipendenza riconosciuto storicamente ai magistrati?
Il segretario di Magistratura democratica Anna Canepa ha in proposito dichiarato: “si tratta di una legge che abbiamo combattuto e che continuiamo a ritenere sbagliata. Ma è giusto anche dire che all’atto pratico non si sta rivelando così disastrosa”.
Nel 2015, in seguito all’approvazione della riforma, sono stati registrati circa 90 ricorsi per responsabilità civile, un dato sicuramente alto rispetto a quello degli anni precedenti seppur giustificato dall’eliminazione del filtro di ammissibilità che la legge Vassalli ante riforma prevedeva. Si tratta di un numero alto che tuttavia non spaventa, bisognerà infatti attendere l’esito finale di questi ricorsi dinanzi la Corte di Cassazione per esprimere una valutazione circa la portata concreta di questa legge di riforma.