Il profilo dei diritti umani, argomento sempre di grande attualità e fondamentale rilevanza in ambito internazionale, spesso non sembra rientrare nelle problematiche rilevanti le pragmatiche realtà delle imprese. Al contrario queste ultime, ciascuna con il proprio piccolo o grande contributo, determinano un impatto aggregato fortemente condizionante la tutela complessiva dei diritti umani a livello mondiale.
La criticità di tale situazione deriva dal fatto che le norme internazionali che presidiano determinati diritti vincolano solo gli Stati, e non in modo concreto le singole attività imprenditoriali. Ciononostante, le Nazioni Unite hanno deciso di intervenire in modo peculiare, proprio per ovviare a questo problema.
Nel 2011 i Guiding Principles on Business and Human Rights: Implementing the United Nations “Protect, Respect and Remedy” Framework hanno individuato, nonostante la loro non vincolatività, una serie di principi guida diretti agli Stati (applicabili agli stessi, in quanto soggetti di diritto internazionale), insieme alla responsabilità delle imprese, veicolata però in questo caso dalla tutela dello Stato di pertinenza che se ne dovrebbe far carico. Infine, viene incoraggiata la tutela delle vittime degli abusi imprenditoriali.
Alla presa di posizione delle Nazioni Unite si è presto aggiunta quella dell’Unione Europea: la Commissione Europea ha infatti pubblicato un documento intitolato Strategia rinnovata dell’Unione Europea per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese, con cui ha esortato gli Stati ad individuare un Piano d’Azione Nazionale al fine di implementare i Principi Guida già enucleati in ambito internazionale.
Per quanto riguarda l’Italia, l’art. 41 Cost., sancendo la libertà dell’iniziativa economica, sebbene inquadri i limiti generali entro cui essa può svolgersi, rimane vago circa gli aspetti più tecnici. Tale norma non è stata unitariamente attuata, anche se comunque in via sistematica e in modo più o meno specifico, viene impedita l’attività economica che abbia uno scopo contrario alla legge. Anche volendo focalizzarsi sui doveri degli amministratori, manca un’indicazione precisa relativa all’obbligo di rispettare i diritti umani.
Nonostante la mancanza di dettagli, possono individuarsi alcuni aspetti rilevanti in materia. Innanzitutto il d. lgs. 231/01 ha progressivamente ampliato il suo oggetto, ricomprendendo tra i crimini punibili fattispecie come reati ambientali e pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili. Inoltre, alcuni indici borsistici italiani annoverano tra i loro criteri di classificazione, inter alia, requisiti quali responsabilità sociale e ambientale.
Per ottemperare all’implementazione dei principi guida delle Nazioni Unite dunque, l’Italia ha predisposto e man mano dato attuazione al Piano Nazionale che porterà all’avvicinamento degli standard italiani con quelli internazionali. Il Piano concluso nel 2014 ha evidenziato alcune linee guida per le piccole e medie imprese in ambito di due diligence che sono suggerite per prevenire o mitigare l’impatto negativo sui diritti umani. Ancora, è adesso possibile richiedere che sia conseguito un “rating di legalità”, ossia viene domandata (da imprese aventi certi requisiti) alla AGCM una valutazione rispetto alla propria corporate responsibility. Una volta attribuito un punteggio, questo verrà tenuto in considerazione per l’ accesso al credito bancario e al fine di ottenere concessioni per finanziamenti dalle pubbliche amministrazioni.
L’Italia ha ancora una lunga strada da fare prima che la normativa di settore copra in modo puntuale tutti gli elementi rilevanti, ma l’impegno profuso già in questi primi anni lascia ben sperare.
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