A cura di Luigi Usai
vincitore per la categoria Studenti del Premio Baffi IV Edizione
“Digli che adirati son con esso gli Dei […]
da che sì furibondo agli strazi ei rattien l’ettòrea salma”1
Iliade, Omero.
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Introduzione
Il trattamento riservato ai cadaveri dei nemici è un tema ricorrente nei contesti di conflitto armato. Storicamente era divenuto noto il caso dei “denti di Waterloo”, ovvero i denti di giovani soldati morti in tale battaglia, estratti e rubati dalle loro salme così da fungere da denti sostitutivi1. In tempi più recenti, nel 2012, aveva creato scandalo un video in cui dei Marines statunitensi, in Afghanistan, urinavano su dei combattenti talebani morti2. Oppure ancora, si pensi alle accuse mosse da Hamas ad Israele sugli 80 corpi palestinesi a cui sarebbero stati asportati degli organi3 o ai video diffusi dai soldati israeliani mentre “giocano” con la lingerie ritrovata nelle case palestinesi devastate4. Risulta quindi chiaro come questa sia una questione di estrema attualità.
La violenza e il mancato rispetto verso i defunti comportano ostentazione e teatralità, volte a mostrare disprezzo non solo per il morto ma anche per quello che egli rappresenta (la sua nazione, etnia, religione…), con l’intento di scoraggiare e ridicolizzare gli avversari, seminare paura e affermare superiorità5. In sostanza si tratta di comportamenti che disumanizzano il nemico e la sua morte.
Proprio per la rilevanza che questo tema può assumere esistono norme nel diritto internazionale umanitario (DIU), nel diritto internazionale penale e negli ordinamenti statali poste ad effettiva tutela della dignità del nemico caduto.
In questo breve lavoro si cercherà anzitutto di evidenziare come queste norme siano espressione del principio di salvaguardia della dignità umana (par. 2); si procederà, quindi, con una breve analisi delle disposizioni di diritto internazionale in materia (par. 3); infine, si esplorerà la possibilità che i relativi comportamenti illeciti possano assumere rilevanza non soltanto per se, ma anche come prova dell’esistenza di un intento genocidiario (par. 4).
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La Dignità Umana come fonte di Diritti e di Doveri
Con il termine “dignità umana” si intende la “condizione di nobiltà ontologica e morale in cui l’uomo è posto dalla sua natura umana, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a sé stesso”6. Essa, dunque, è il valore che ogni persona possiede per il semplice fatto di appartenere al genere umano, è il suum di ciascuno7. Questo concetto è la raison d’etre del DIU e dei diritti umani8.
Nel contesto giuridico internazionale è possibile identificare due concezioni della dignità umana. Essa, infatti, non è soltanto un principio fondamentale e la base di diritti inviolabili dell’uomo (human dignity as empowerment), ma è anche un principio che crea doveri in quanto bene giuridico tutelato da certi divieti internazionali (human dignity as constraint)9. Proprio in base alla seconda prospettiva, ovvero della dignità come fonte di doveri, si deve ritenere che, indipendentemente da un riconoscimento di diritti al/del defunto, ogni essere umano deve rispettare i morti (nel senso stabilito dalle norme che si analizzeranno in seguito). Nella sua estrinsecazione come vincolo, dunque, la dignità umana trascende la dimensione individuale per assurgere ad attributo astratto e oggettivo appartenente alla specie umana nel suo insieme10.
Il collegamento tra dignità umana e rispetto della salma dell’avversario è confermato anche dal dato testuale per cui la nozione di vittima di “crimini di guerra per oltraggi alla dignità personale” ricomprende, oltre alla “persona”, anche il soggetto deceduto11.
Ne consegue, quindi, che la dignità umana si pone a fondamento degli obblighi di rispetto del corpo del defunto. Con la morte dell’individuo non cessa il dovere di trattarlo secondo umanità.
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Le Norme del Diritto Internazionale
Riguardo alle concrete modalità con cui deve essere trattato il corpo del nemico morto in guerra il DIU fornisce specifiche indicazioni. Queste sono state analizzate nello studio “Customary International Humanitarian Law”12 del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) al Capitolo 35. In esso si stabilisce che le parti del conflitto hanno l’obbligo di cercare, recuperare ed evacuare i defunti (Regola 112), facilitando la restituzione dei resti e degli effetti personali (Regola 114); la disposizione dei cadaveri e la conservazione delle tombe devono avvenire in modo rispettoso ed adeguato (Regola 115) e comunque dopo aver registrato tutte le informazioni disponibili (Regola 116); inoltre, viene fatto divieto di spoliazione e mutilazione dei corpi dei morti (Regola 113).
È importante sottolineare come questa disciplina, che si applica ai conflitti armati sia internazionali che interni, deve essere rispettata senza “adverse distinction”13, ovvero a prescindere dalla parte del conflitto cui il soggetto apparteneva e indipendentemente dal suo status di combattente o di civile.
Come precedentemente affermato, queste regole sono espressione del DIU consuetudinario. Infatti, sono ricavabili da un lato da vari trattati internazionali, dall’altro dalla prassi della generalità degli Stati. Per quanto concerne il primo aspetto, già dai primi anni del XX secolo i Governi iniziarono a stipulare diversi trattati14 che imponevano doveri analoghi a quelli appena illustrati. Tuttavia, è a partire dalle Convenzioni di Ginevra (CG) del 1949 e dai Protocolli aggiuntivi (PA) del 1977 che si giunge ad una disciplina più organica ed esaustiva. Prendendo ad esempio in considerazione l’obbligo di ricerca e recupero dei morti questo è previsto da: I CG art. 15(1), II CG artt. 18(1) e 21(1), IV CG art. 16(2); I PA artt. 17(2) e 33 (4), II PA art. 8.
Riguardo la prassi degli Stati si devono considerare non soltanto le legislazioni nazionali, ma anche altri elementi quali i manuali militari, le dichiarazioni ufficiali e le pronunce giurisprudenziali. È proprio da questi, analizzati in modo dettagliato e approfondito nel II volume dell’opera di codificazione del CICR, che si ricava la sussistenza di entrambi gli elementi della consuetudine internazionale: usus e opinio juris ac necessitatis15. Di conseguenza, tali norme sono vincolanti, anche in assenza di disposizioni convenzionali, per tutti e in ogni luogo.
L’applicazione di queste norme è supportata anche dal Diritto Internazionale Penale. Infatti, come accennato, i “crimini di guerra di oltraggio alla dignità personale” possono perfezionarsi anche nei confronti del defunto. Tale ambito di applicazione risulta confermato dalla recente giurisprudenza interna. Ad esempio, nel 2016 in Germania è stato condannato a 2 anni di carcere un cittadino tedesco, convertitosi al radicalismo islamico, a causa di sue foto scattate durante un viaggio in Siria in cui posava con teste mozzate di combattenti nemici, impalate su barre di metallo16. Nel 2017, in Svezia, un immigrato iracheno è stato condannato a 9 mesi di reclusione dopo il ritrovamento di alcune sue foto del 2015, scattate durante il conflitto nel Nord Iraq e pubblicate su Facebook, in cui posava con una testa mozzata su un piatto accanto ad altri corpi decapitati17.
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Mancato Rispetto del Nemico Deceduto e Intento Genocidiario
Le violazioni delle medesime norme, oltre ad avere rilevanza di per sé, potrebbero acquisire importanza anche in altri contesti. In particolare, esse potrebbero contribuire a provare la mens rea del crimine dei crimini: il genocidio.
Per il diritto internazionale il genocidio, sia come illecito (dello Stato) che come crimine (dell’individuo), si configura se sussistono due elementi: l’actus reus (elemento oggettivo) e la mens rea (elemento psicologico). Per quanto riguarda il primo devono essere realizzati i comportamenti tipici elencati dall’art. 2 lett. (a)-(e) della Convenzione sul genocidio18, ovvero: (a) uccidere membri del gruppo; (b) causare loro gravi danni fisici o mentali; (c) infliggere deliberatamente condizioni di vita mirate alla distruzione del gruppo; (d) imporre misure volte a prevenire le nascite; (e) trasferirne forzatamente i figli in un altro gruppo.
Passando alla mens rea, essa è definita come la commissione dei suddetti atti “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”19. Tale dolus specialis è particolarmente difficile da provare in quanto si dovrebbe dimostrare che l’intento genocidiario sia l’unica ragionevole conclusione che si può trarre dalle condotte poste in essere20. Al netto delle critiche che possono essere mosse a questo standard probatorio particolarmente elevato (che ignora come “l’intenzione di distruggere” possa coesistere con altri intenti21), si deve comunque cercare di comprendere da quali dati fattuali si possa desumere l’elemento psicologico.
Per sua natura l’intento non è di solito suscettibile di prova diretta; solo l’accusato ha conoscenza del proprio stato mentale, ed è improbabile che confessi la sua volontà genocida. L’intento, quindi, deve essere dedotto22. Tale inferenza logica deve essere fatta derivare dall’evidenza degli atti materiali23. Dunque, se la condotta è stata accompagnata o preceduta da discorsi o dichiarazioni, il loro contenuto può aiutare a stabilire il dolus specialis 24. Ma, in assenza di prove esplicite dirette, la giurisprudenza internazionale ha precisato che l’elemento psicologico può essere dedotto da una serie di fatti e circostanze, come: il contesto generale; la perpetrazione di altre azioni sistematicamente dirette contro lo stesso gruppo; l’entità delle atrocità commesse; il targeting sistematico delle vittime a causa della loro appartenenza a un particolare gruppo; la ripetizione di atti distruttivi e discriminatori25. La giurisprudenza internazionale è concorde nel ritenere che i suddetti fatti possano assumere rilevanza come prova circostanziale dell’intento genocidiario26.
Date queste premesse, è possibile chiarire se e quale possa essere il ruolo in questo ambito dei comportamenti che vìolano le norme sul rispetto dei cadaveri dei nemici. Questi sicuramente non potranno assurgere a prova diretta del dolus specialis, tuttavia, sembrano rientrare perfettamente nella nozione di prova circostanziale appena analizzata. Eventuali sistematiche violazioni del DIU in materia e reiterati crimini internazionali di oltraggio alla dignità personale del morto sembrano integrare le condotte di “perpetrazione di azioni sistematicamente dirette contro il gruppo”, gravi “atrocità” e “ripetizione di atti distruttivi e discriminatori” che la giurisprudenza ha indicato come fatti da cui desumere l’elemento psicologico del crimine dei crimini.
A sostegno di quanto detto si consideri, infine, che per alcuni studiosi una delle fasi del genocidio consiste proprio nella disumanizzazione del soggetto appartenente al gruppo nemico27. La medesima disumanizzazione è insita nella violenza verso il corpo del defunto in quanto simbolo della nazione, etnia, razza o religione di cui fa(ceva) parte.
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Conclusioni
La possibile valenza dei comportamenti che oltraggiano la dignità del nemico deceduto per dimostrare la mens reagenocidiaria costituisce un terreno ancora poco esplorato. Nondimeno, si deve considerare come, durante i conflitti, la disumanizzazione sottesa al disprezzo verso l’avversario defunto -ad esempio attraverso la distruzione di cimiteri (come sta avvenendo a Gaza28)- spesso celi un elemento di persecuzione, un assalto non solo alla vita fisica del nemico, ma anche alla sua esistenza nazionale e religiosa29.
Si potrebbe dunque concludere che, insieme a tutti gli altri fattori già analizzati dalla giurisprudenza, anche la disumanizzazione della morte del nemico tramite il vilipendio della sua salma risponde alle caratteristiche per poter essere considerato quale ulteriore elemento di prova circostanziale del dolus specialis.
Umiliare la salma dell’avversario significa oltraggiare il gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso cui apparteneva e che in un contesto di genocidio sono stati proprio la causa della sua morte. Il corpo del nemico deceduto diventa così il simbolo di ciò che egli rappresentava da vivo.
1P. Kerley, The dentures made from the teeth of dead soldiers at Waterloo, “BBC”, 2015
2G. Bowley, M. Rosenberg, Video Inflames a Delicate Moment for U.S. in Afghanistan, “The New York Times”, 2012
3Redazione ANSA, Gaza: Hamas, Israele ha rubato organi a 80 cadaveri palestinesi, 2023
4La Repubblica, Il caso, il video dei soldati israeliani che giocano con la lingerie femminile nelle case palestinesi, 2024
5W. Wels, Dead Bodies of War in Legal-Historical Context, 2023; A. Andersson, Outrage upon the Personal Dignity of the Dead in International and Swedish War Crimes Legislation and Case Law, 2020, p.245
7Ibid.
8Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, Prosecutor v. Furundzˇija, 10/12/1998, §183
9G. Le Moli, Human Dignity in International Law, CUP 2021; D. Beyleveld, R. Brownsword, Human Dignity in Bioethics and Biolaw, OUP 2001
10D. Amoroso, Autonomous Weapons Systems and International Law, ESI, 2020, p. 168
11Corte Penale Internazionale, Elements of Crimes, art 8(2)(b)(xxi), in particolare nota n. 49
12CICR, Customary International Humanitarian Law. Volume I: Rules, CUP, 2005, cap. 35, p. 406
13Ibid., Rule 112.
14Ex plurimis: 1907 Hague Convention (X), Artt. 16 e 17; 1929 Geneva Convention for the Amelioration of the Condition of the Wounded and Sick in Armies in the Field, Art. 3
15 C. Conforti, M. Iovane, Diritto Internazionale, 2023, p. XX
16Corte regionale superiore, Francoforte sul Meno, https://www.lareda.hessenrecht.hessen.de/bshe/document/LARE190018662, 12/07/2016
17Corte d’appello di Blekinge, sent. B 3187-16, 11/04/2017
18Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, 1948
19Ibid., art. 2
20Corte Internazionale di Giustizia, Croazia v. Serbia, 3/2/2015
21N. Owens, An Issue of Intent: The Struggles of Proving Genocide, 2024
22 Camera d’appello del Tribunale penale internazionale per il Ruanda, Prosecutor v. Gacumbitsi, 7/7/2006, §40
23 W. A. Schabas, Genocide in International Law. The crimes of the crimes, CUP 2009, p. 241 ss.
24 Ibid.
25 Tribunale Penale per l’ex-Jugoslavia, Prosecutor v. Jelisi ́c, 5/7/2001, §47
26 Ex plurimis: Camera d’appello Tribunale penale internazionale per il Ruanda: Nahimana Appeal Judjment, 28/11/2007, §524; Gacumbitsi Appeal Judgement, 7/7/2006, §40-41; Rutaganda Appeal Judgement, 26/5/2003, §525
27 G. H. Stanton, The Ten Stages of Genocide, 1996
28J. Diamond, At least 16 cemeteries in Gaza have been desecrated by Israeli forces, “CNN”, 2024; P. M. Zerrouky, L. Mas, A Gaza, les cimetières ne sont pas épargné, “Le Monde” 2024
29J. Dill, No peace for the dead: legal questions about Israel’s destruction of cemeteries in Gaza, 2024