17 Marzo 2025
17 Marzo 2025

Diffamazione a mezzo stampa ed immunità: i profili problematici

aggravata

Prima di affrontare la tematica della diffamazione a mezzo stampa, può risultare utile un breve accenno al concetto di capacità penale. Essa attiene all’idoneità di un soggetto ad essere destinatario di una sanzione penale. Vengono annoverati quali soggetti capaci penalmente le persone fisiche, in ossequio al principio sancito dall’art. 27 della Costituzione secondo il quale la responsabilità penale è personale, sebbene il decreto legislativo n. 231/2001 abbia provveduto a disciplinare anche la responsabilità penale degli enti collettivi. Tuttavia, vanno segnalate talune categorie di soggetti i quali, in diverse misure ed a ricorrere di particolari condizioni, sono sganciati dall’obbligo di osservanza delle norme penali.

Tale condizione, definita immunità, si declina in molteplici sottocategorie: ad esempio le immunità funzionali, inerenti ai reati posti in essere da un determinato soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni, o quelle assolute, attinenti a tutti i reati compiuti dal soggetto, senza distinzioni. Una delle suddivisioni più importanti, però, è quella tra le immunità derivanti dal diritto pubblico interno e quelle derivanti dal diritto internazionale. Esempi delle prime sono quella propria del Presidente della Repubblica, che risponde penalmente solo in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione, o dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura o dei Giudici della Corte Costituzionale.

Invece, esempi di immunità di diritto internazionale sono quelle proprie dei Capi di Stato esteri in visita in tempo di pace sul territorio italiano, dei consoli, di diplomatici accreditati presso il Presidente della Repubblica e del Papa, sancita dall’articolo 8 del Trattato Lateranense. Tradizionalmente, le immunità vengono ricondotte nell’alveo delle cause di esclusione della punibilità, ossia quelle cause che, pur lasciando inalterato il carattere di illiceità della condotta posta in essere, escludono l’applicabilità della sanzione.

Tale inquadramento sistematico non è sempre stato condiviso in maniera unanime, tanto che parte della dottrina non ha esitato a definire talune immunità quali cause di giustificazione, ovvero quelle che escludono l’antigiuridicità di una condotta tipica effettivamente realizzata. Esempio, in tal caso, è costituito dalle immunità funzionali di diritto pubblico interno, tra le quali viene annoverata l’immunità di cui godono i membri del Parlamento, i quali non possono essere tratti in arresto senza la previa autorizzazione della relativa Camera, a meno che non siano colti in flagranza di un delitto per il quale sia prevista obbligatoriamente tale misura.

Nel corso degli anni si sono succedute diverse pronunce della Corte di Cassazione, sia in merito alla natura giuridica ed alla collocazione logico-sistematica delle immunità, sia sul tema della responsabilità del direttore di una testata giornalistica. In particolare, è stato più volte analizzato il caso del giornalista-parlamentare il quale, dopo aver formulato affermazioni lesive della reputazione altrui, provocava la condanna per diffamazione a mezzo stampa del direttore responsabile del quotidiano.

Per quanto concerne il primo tema, la Corte di Cassazione aveva inizialmente configurato l’immunità quale causa di giustificazione, da ricondurre all’ipotesi di legittimo esercizio di un diritto ex articolo 51 c.p.. Alla luce di tale (superata) configurazione, il beneficio dell’immunità in relazione alle espressioni utilizzate dal parlamentare nel caso appena ricordato si sarebbe esteso anche al direttore responsabile della testata, quale concorrente[1]. Successivamente, però, tale orientamento è mutato ed il Supremo Collegio è pervenuto ad un convincimento secondo il quale l’immunità non costituisce causa di giustificazione bensì causa di esclusione della punibilità e, pertanto, non è estensibile al concorrente[2].

Anche in relazione alla tematica del reato di diffamazione a mezzo stampa si sono avvicendate molteplici pronunce. Infatti, ad un primo orientamento che non riconosceva alle testate on-line la medesima tutela riconosciuta a quelle cartacee[3], hanno fatto seguito ulteriori pronunce tese a riequilibrare progressivamente le due posizioni. La sentenza delle Sezioni Unite del 17 luglio 2015 n. 31022 ha definitivamente equiparato le testate telematiche a quelle tradizionali, essendo ritenute le prime rientranti a pieno titolo nel concetto di stampa e godendo, pertanto, della tutela normativa prevista sia a livello costituzionale che a livello di legislazione ordinaria.

È stata, altresì, equiparato il direttore responsabile di un giornale cartaceo all’analoga figura di una testata telematica, al quale si estende il medesimo coacervo di diritti, doveri e garanzie cui soggiace il primo[4]. Decisiva, poi, è stata la Corte nello stabilire la responsabilità del direttore di un periodico cartaceo che con la propria condotta omissiva non abbia impedito la commissione di reati a mezzo pubblicazione. Tale forma di “culpa in vigilando” va debitamente motivata dal giudice del caso concreto, avendo questi l’obbligo di spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto insufficiente il controllo esercitato dal direttore[5]. Dunque, il delitto di diffamazione realizzato dal giornalista a mezzo stampa configura l’evento del reato colposo attribuibile al direttore responsabile ai sensi dell’art. 57 c.p.

 

 

[1] Sent. Cass. 24/11/2006 n. 38944.

[2] Sent. Cass. 25/1/2011 n. 2384.

[3] Sent. Cass. 5/3/2014 n. 10594

[4] Sent. Cass. del 22/3/2018 n. 13398.

[5] Sent. Cass. n. 4672/2017.

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