Per la Rubrica “DI ROBUSTA COSTITUZIONE” : La tutela della dignità umana implica un’evoluzione del diritto alla salute parallela rispetto ai risultati della scienza. In particolare, l’articolo illustra in una visione diacronica e, al tempo stesso, aggiornata, la disciplina delle cure palliative e della terapia del dolore.
SOMMARIO: 1. Evoluzione storica e princìpi generali – 2. L’utilizzo di farmaci oppioidi – 3. La sedazione palliativa continuata e profonda
- Evoluzione storica e princìpi generali
L’art. 32 della Costituzione, al comma primo, recita: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Quando si fa riferimento di diritto alla salute, generalmente, si tende a fare riferimento a tutte quelle attività volte a guarire un paziente affetto da una determinata malattia, troppo spesso dimenticandosi di tutte quelle ipotesi in cui ci si trova davanti a una malattia incurabile ma al tempo stesso dolorosa: è in quest’ambito che si situa la tematica delle cure palliative e della terapia del dolore, le quali hanno l’obiettivo non di eliminare la malattia del paziente, bensì di garantire a quest’ultimo la migliore qualità di vita possibile[1].
In questo senso le cure palliative e la terapia del dolore tutelano la dignità della persona e danno attuazione al diritto alla salute, seguendo l’evoluzione ed il progresso della scienza.
Nell’ordinamento giuridico italiano si fa riferimento per la prima volta di assistenza palliativa nel D.L. 450/1998[2], poi convertito con la L. 39/1999[3], recante Disposizioni per assicurare interventi urgenti di attuazione del Piano sanitario nazionale 1998-2000. All’art. 1, infatti, il legislatore stabilisce che il Ministro della Sanità adotta un programma nazionale per la realizzazione, in ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con gli obiettivi del piano sanitario nazionale, di almeno una struttura dedicata all’assistenza palliativa e di supporto per i pazienti la cui patologia non risponde ai trattamenti disponibili e che necessitano di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari. Nel D.M. del 28/09/1999[4], cioè il decreto attuativo della disposizione legislativa poc’anzi richiamata, si specifica che Regioni e Province autonome, per garantire il continuum delle varie fasi assistenziali, devono costituire una rete di assistenza[5] ai pazienti terminali e ai loro familiari articolata su diversi livelli (ambulatoriale, domiciliare, ospedaliero e residenziale), per assicurare ai pazienti una forma di assistenza finalizzata al controllo del dolore e degli altri sintomi, improntata al rispetto della dignità, dei valori umani, spirituali e sociali di ciascuno di essi e al sostegno psicologico e sociale del malato e dei suoi familiari.
Successivamente a questi primi interventi, ne sono seguiti altri che hanno offerto una sempre maggiore tutela alle attività volte ad alleviare il dolore. Una prima novità fu quella portata dal D.P.C.M. del 29/11/2001[6], volto alla Definizione dei livelli essenziali di assistenza: in tale occasione, infatti, i trattamenti palliativi sono stati inseriti all’interno dei livelli essenziali di assistenza, nell’Area integrazione socio-sanitaria. Altra innovazione sul tema, invece, è stata quella riguardante l’art. 3 del Codice deontologico dei medici[7], nel quale si è sottolineato che tra i doveri dei medici, oltre a quello della tutela della vita e della salute psico-fisica, c’è anche quello del trattamento del dolore e del sollievo della sofferenza (rectius: tale dovere è inglobato all’interno della tutela della vita)[8].
Il passo più importante, tuttavia, si è avuto con la L. 38/2010[9], recante Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. All’art. 1, infatti, in riferimento alle finalità della legge, si specifica che l’obiettivo è proprio la tutela del diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore, le quali sono volte: alla tutela della dignità e dell’autonomia del malato senza alcuna discriminazione, alla tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine, a fornire un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia. Per prima cosa, il legislatore ha consentito di distinguere tra (art. 2):
- cure palliative: l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, destinati a quei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici;
- terapia del dolore: l’insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore.
La differenza, rispetto al D.L. 450/1998 e al D.M. del 28/09/1999, sta nel fatto che mentre quest’ultimi si riferivano unicamente ai pazienti terminali, la L. 38/2010 fa riferimento sia ai pazienti terminali (attraverso l’espressione cure palliative), sia a coloro che pur non essendo pazienti terminali sono affetti da dolore cornico (attraverso l’espressione terapia del dolore). Cure palliative e terapia del dolore, pertanto, costituiscono una componente essenziale del diritto alla salute ex art. 32 Cost[10].
Bisogna specificare, inoltre, che nel caso di cure palliative, rivolte cioè ai pazienti morenti, il diritto alla salute viene inteso in una duplice dimensione: interna, cioè rivolta al paziente terminale; esterna, cioè inclusiva anche dalla famiglia del paziente, la quale è titolare di interessi meritevoli di tutela in quanto perfettamente inserita all’interno della rete di cura del paziente. Si capisce, quindi, che quando ci si riferisce a cure palliative e, quindi, a malati terminali, non s’intendono esclusivamente i trattamenti volti a diminuire il dolore fisico del paziente, ma anche quelli concernenti il disagio psichico del paziente e dei suoi familiari, cercando di garantire un ricovero ospedaliero in condizioni diverse da quelle degli altri pazienti: ad esempio, assicurare una maggiore riservatezza o visite familiari senza limitazioni e condizionamenti[11].
Sempre l’art. 2, inoltre, chiarisce anche come si articola la rete di assistenza nazionale e regionale deputata all’erogazione di cure palliative e terapia del dolore ai pazienti. Nello specifico, l’assistenza può avvenire in regime:
- residenziale: l’insieme degli interventi, nelle cure palliative, erogati da équipe multidisciplinari presso una struttura denominata hospice, o ininterrottamente o a ciclo diurno;
- domiciliare: l’insieme degli interventi, nelle cure palliative e nella terapia del dolore, erogati al domicilio della persona malata, per ciò che riguarda sia gli interventi di base, coordinati dal medico di medicina generale, sia quelli delle équipe specialistiche di cure palliative, di cui il medico di medicina generale è in ogni caso parte integrante. Questa, ovviamente, è un’ipotesi attualizzabile solo laddove il livello di complessità e intensività delle cure siano compatibili con l’ambiente domestico;
- ambulatoriale: l’insieme degli interventi, nella terapia del dolore, erogati in regime di day hospital e di ricovero ordinario.
- L’utilizzo di farmaci oppioidi
Un ruolo importantissimo nell’ambito delle cure palliative e della terapia del dolore, è quello rivestito dai farmaci oppioidi, i quali rientrano nel genus degli analgesici, cioè quei farmaci utilizzati nella trattazione del dolore. Mentre gli analgesici non narcotici, come ad esempio i comunissimi FANS[12], però, agiscono in periferia[13] , i farmaci oppioidi sono detti analgesici narcotici centrali in quanto derivano dall’oppio (una sostanza stupefacente) e agiscono direttamente sul cervello, inibendo l’elaborazione dello stimolo doloroso e, quindi, la percezione della sensazione di dolore. La morfina ne è l’esponente più noto e per questo talvolta anche gli altri sono definiti morfinici, e possono essere distinti in: oppioidi deboli, utilizzati per il dolore moderato (es. codeina e tramadolo); oppioidi forti, utilizzati per il dolore severo (es. fentanyl, metadone, morfina solfato, ossicodone)[14].
Nel 2003 l’OMS ha elaborato una scala per regolare l’utilizzo di questi farmaci a seconda della sensazione di dolore riferita dal paziente[15].
Si comprende, quindi, che i farmaci oppioidi sono sostanze stupefacenti/psicotrope, e il tema delle sostanze stupefacenti è disciplinato dal D.P.R. 309/1990, cioè il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza: a tale Testo unico sono allegate cinque tabelle ministeriali, nelle quali sono iscritti tutti gli stupefacenti e le sostanze psicotrope. Al riguardo è utile sottolineare la V tabella, denominata “tabella dei medicinali”, in cui si trovano tutti quei farmaci a base di sostanze attive stupefacenti e psicotrope di corrente impiego terapeutico a uso umano o veterinario: tale tabella è suddivisa a sua volta in cinque sezioni indicate con le lettere A, B, C, D ed E in cui sono distribuiti i medicinali in relazione al decrescere del loro potenziale di abuso.
I farmaci utili per le cure palliative e la terapia del dolore sono contenuti nelle sezioni A e D in base ai seguenti fattori:
- la tolleranza, cioè la necessità di aumentare il dosaggio per raggiungere l’azione analgesica;
- la dipendenza fisica, cioè la comparsa della sindrome da astinenza in caso di sospensione brusca del farmaco;
- la dipendenza psicologica, cioè la tossicodipendenza, diffusa prevalentemente nell’ambito di coloro che assumono oppioidi (per lo più eroina) per scopi non sanitari.
Tuttavia, in Italia sono storicamente sottoutilizzati a causa di alcuni effetti negativi a essi legati rispetto agli altri Stati europei, ad esempio la Germania[16]: questa situazione è dovuta prevalentemente ai timori provenienti dagli USA, in cui la questione della tossicodipendenza derivante da farmaci oppioidi è un vero e proprio fenomeno sociale[17].
- La sedazione palliativa continuata e profonda
Nell’ambito delle cure palliative, è opportuno far riferimento alla sedazione palliativa. Quest’ultima consiste nell’intenzionale riduzione della coscienza del paziente fino al suo possibile annullamento, attraverso l’utilizzo di particolari farmaci (es. barbiturici o benzodiazepine): è moderata se la coscienza non è tolta completamente, profonda se la coscienza è annullata; temporanea se fatta per un periodo limitato, intermittente se si alterna in base alle circostanze, profonda se viene protratta fino alla morte del paziente.
Affinché si possa ricorrere alla sedazione palliativa continuata e profonda, sono necessari dei requisiti[18], individuati nel parere del Comitato Nazionale di Bioetica 29/01/2016[19]:
- il consenso informato del paziente, dato che si tratta comunque di un trattamento sanitario, consenso che oggi è esprimibile anche attraverso le DAT;
- una malattia inguaribile in uno stadio avanzato;
- la morte imminente, generalmente attesa entro pochi giorni;
- la presenza di uno o più sintomi refrattari, in riferimento alla situazione psico-fisica oggettiva del paziente, cioè di sintomi che: causano una sofferenza intollerabile per il paziente; non possono essere controllati attraverso farmaci alternativi alla sedazione, ricorrendo alla sedazione moderata anziché profonda, né con interventi terapeutici non farmacologici, in quanto non è possibile assicurare entro un tempo accettabile sollievo al paziente o un sollievo tale da rendere tollerabile la sofferenza.
La sedazione, infine, non deve essere confusa con l’eutanasia[20]: quest’ultima si riferisce a quegli interventi che provocano la morte del paziente ed è illegale nel nostro Stato, mentre la sedazione profonda non provoca la morte del paziente né accelera in alcun modo il naturale percorso della malattia, bensì allevia le sofferenze fisiche nelle fasi terminali della vita.
[1] Giova ricordare come il dolore sia l’unico parametro vitale con una rilevazione non oggettiva (a differenza della pressione arteriosa sistemica, della frequenza cardiaca, della temperatura e saturazione di ossigeno, rilevabili strumentalmente e/o da terzi).
[2] Disponibile qui: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:1998-12-28;450
[3] Disponibile qui: https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1999;39
[4] Disponibile qui: https://www.fnopi.it/wp-content/uploads/DM280999.pdf
[5] Pampalone, voce Cure palliative, in DDP civ., Agg., diretto da Sacco, Torino, 2014, 147 ss.
[6] Disponibile qui: https://www.camera.it/temiap/temi17/dpcm29_novembre_2001.pdf
[7] Disponibile qui: https://www.omceo.me.it/ordine/cod_deo/commentario.pdf
[8] T. Pasquino, Le cure palliative nel prisma del diritto alla salute dei malati terminali, 2018, p. 81
[9] Disponibile qui: https://www.parlamento.it/parlam/leggi/10038l.htm
[10] T. Pasquino, op. cit., p. 81
[11] Ibid.
[12] Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei: es. ibuprofene.
[13] Nello specifico in periferia, sulla sede dell’origine del dolore, inibendo la conversione dell’acido arachidonico in prostaglandine e leucotrieni (importanti mediatori dell’infiammazione).
[14] Per una trattazione più estesa, v. https://www.aimac.it/libretti-tumore/terapia-dolore/farmaci-oppioidi-cancro#
[15] Nei primi anni 2000 è stato creato un primo farmaco oppioide-like che, pur legandosi ai recettori bersaglio degli oppioidi,non ne manifesta i comuni effetti collaterali (ottundimento e rallentamento ideomotorio, stipsi, sonnolenza, etc.).
[16] J. Just, M. Mücke, e M. Bleckwenn, “Dependence on Prescription Opioids.,” Dtsch. Ärzteblatt Int., 113: 213–20, 2016
[17] S. Okie, A Flood of Opiods, A Rising Tide of Deaths, Perspective, 363: 1–3, 2010.
[18] T. Pasquino, op. cit., pp. 88-91.
[19] Disponibile qui: https://bioetica.governo.it/media/1804/p122_2016_sedazione_profonda_it.pdf
[20] Per approfondire la tematica dell’eutanasia mi sia consentito rimandare ad un mio precedente contributo, su questa rivista: V. A. Lovero, Referendum eutanasia legale: profili giuridici e politici, 9.11.2021; disponibile qui: Referendum eutanasia legale: profili giuridici e politici – Ius in itinere; nonché ad un precedente articolo : F. Cerquozzi, Caso Cappato, la sentenza Corte costituzionale 242 del 2019 sulla punibilità dell’aiuto al suicidio ed il diritto all’autodeterminazione terapeutica”, 2021, disponibile qui: Caso Cappato, la sentenza Corte costituzionale 242 del 2019 sulla punibilità dell’aiuto al suicidio ed il diritto all’autodeterminazione terapeutica – Ius in itinere.