La massima.
In presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato (Cass. Pen., Sez. VI, 22.11.2022, n. 44427).
Il caso.
La sentenza origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro la pronuncia emessa dalla Corte d’Appello che aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità dello stesso in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia aggravato.
Il gravame si basava sul vizio di motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 192 c.p.p. e sulla mancata assunzione di una prova decisiva, consistente nella testimonianza del figlio, all’epoca minorenne.
La sentenza.
Con riferimento al primo motivo la Corte di cassazione rileva che, nella motivazione della sentenza, la Corte d’Appello dimostra di aver adeguatamente motivato circa l’attendibilità di quanto dichiarato dalla persona offesa che trova riscontro anche plurime testimonianze indirette rese da soggetti non legati da vincoli parentali con quest’ultima.
Risulta quindi del tutto inconferente che non vi sia stata una pronta ed immediata denuncia delle condotte violente realizzate dall’imputato nel corso del tempo.
Con riferimento a tale argomentazione la Suprema corte ha infatti rilevato che: «Invero, in presenza di un quadro probatorio pienamente affidabile, la mera circostanza che la persona offesa non abbia inteso tempestivamente denunciare le condotte maltrattanti non è un elemento idoneo, di per sé, a far sorgere il ragionevole dubbio circa la commissione del reato. Rientra, infatti, nell’ordinaria dinamica delle relazioni familiari segnate da condotte di maltrattamento il differimento nel tempo del momento in cui la vittima decide di reagire, atteggiamento che può essere motivato da molteplici ragioni – quali il tentativo di salvaguardare l’unita familiare ed i figli, ragioni economiche, speranze nel miglioramento della situazione – che, tuttavia, non incidono in alcun modo né sulla configurabilità del reato, né sulla valutazione di attendibilità della persona offesa».
Per quanto attiene il secondo motivo, inerente la mancata assunzione della testimonianza del figlio minore, con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 61, n. 11-quinquies c.p. la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto che il quadro probatorio fosse di per sé esaustivo, stante la deposizione resa dalla persona offesa e le conferme, sia pur de relato, rese dai testi cui la vittima aveva riferito della presenza del figlio in occasione delle condotte di maltrattamento.
La Corte di cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.