La massima.
“In presenza di un importo complessivo che superi di due volte la soglia di punibilità si deve escludere di essere in presenza di una condotta di particolare tenuità del fatto, inoltre in presenza di un reato a consumazione prolungata e di reiterate violazioni, appare irrilevante la particolare tenuità di ogni singola condotta poiché in presenza di un comportamento abituale ogni singola azione od omissione aggrava l’offesa al bene giuridico tutelato (fattispecie relativa all’applicabilità della disciplina di cui all’art. 131-bis c.p. in ipotesi di indebita compensazione da parte del datore di lavoro di ritenute non effettuate a lavoratrici madri per un importo pari al triplo della soglia di punibilità di cui all’316-ter c.p.)” (Cass. pen., sez. VI, 10.12.20, n. 35274).
Il caso.
La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze, contro la sentenza emessa dal Tribunale di Livorno la quale aveva dichiarato l’imputato non punibile, ex art. 131-bis c.p., in relazione al reato contestato di cui all’art. 316-ter c.p..
Il gravame si fondava sull’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla sussistenza dei presupposti costitutivi della causa di non punibilità sia sotto il profilo della minima offensività del fatto sia della reiterazione della condotta. Il danno cagionato non poteva ritenersi infatti di esiguo ammontare, dal momento che la soglia di punibilità del reato era stata superata in misura superiore al triplo.
La motivazione.
La Corte di Cassazione ritorna nuovamente a pronunciarsi in tema di applicazione della circostanza di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p..
Il supremo consesso richiama nelle immediatezze la ormai celebre pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. pen., SS.UU., 25.02.16, n. 13681) la quale, con riferimento alla particolare tenuità del fatto, ha affermato che tale giudizio richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, c.1, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. Con riferimento all’abitualità la Corte ha enucleato una particolare accezione, individuandola nell’ipotesi in cui l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, commetta almeno due illeciti, oltre quello preso in esame, ivi compresi anche distinti reati della stessa indole e anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131-bis c.p..
La Suprema Corte da poi atto dell’evoluzione giurisprudenziale (Cass. pen., sez. VI, 21.01.20 n. 11780) in tema di particolare tenuità del fatto, ripercorrendo alcune precedenti pronunce nella quali veniva esclusa l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., sul rilievo che, trattandosi nel caso specifico di reiterate violazioni tributarie, appariva irrilevante la particolare tenuità di ogni singola omissione, poiché si era in presenza di un comportamento abituale in cui ogni singolo inadempimento aggrava l’offesa al bene giuridico protetto.
In materia tributaria, invece, acquista decisiva rilevanza, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., la misura dello scostamento dalla soglia prevista dal legislatore.
Orbene, nel caso de quo, a fronte della soglia di punibilità ascendente a 3.999,97 euro stabilita dal legislatore, l’imputato aveva realizzato una violazione per un importo complessivo due volte superiore alla predetta soglia. Conseguentemente, alla luce dei principi in precedenza richiamati, la Corte ha ritenuto di dover escludere la sussistenza di una condotta connotata da particolare tenuità giustificata dalla presenza di un lieve e poco superiore scostamento dalla soglia che il legislatore ha individuato ai fini della rilevanza penale del fatto.
Inoltre non è possibile ritenere che la condotta dell’imputato fosse di natura episodica ovvero occasionale, in quanto la stessa risulta essere stata strutturata nel tempo e realizzata con cadenza temporale ricorrente nei mesi da giugno a dicembre 2012.
Con riferimento poi all’art. 316-ter c.p. la Suprema Corte detta alcune precisazioni.
La soglia di punibilità del reato di cui all’art. 316-ter c.p., non si configura quale condizione obiettiva di punibilità, ma è elemento costitutivo della fattispecie e come tale deve essere oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente.
Rispetto alla fattispecie di truffa, il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter c.p., è integrato dalla condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni.
Con riferimento infine alla qualificazione giuridica il reato in esame non è inquadrabile tra i reati di danno, bensì tra quelli di pericolo e che proprio la mancanza di un danno economico per l’ente pubblico (oltre che l’assenza di artifici e raggiri) giustifica la sussunzione della condotta nella fattispecie di cui all’art. 316-ter c.p., e ne spiega la differenza anche dal delitto di appropriazione indebita, in danno del lavoratore, dal momento che, secondo il meccanismo contributivo, il datore di lavoro anticipa ai lavoratori le somme poi portate in detrazione, al momento del conguaglio sicché difetta il presupposto del possesso delle somme indebitamente percepite.
La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata rinviandola per nuovo giudizio al Tribunale di Livorno.