18 Aprile 2025
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Cass. Pen., Sez. III, 23 dicembre 2022, n. 48931 sulla revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente alla condanna per costruzione abusiva

Cass. Civ., Sezioni Unite, 16 febbraio 2022, n. 5049

La massima

Il Giudice dell’esecuzione investito dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva ha il potere-dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, e, ove l’immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili (Cass.pen., Sez. III, 23.12.2022, n. 48931).

 

Il caso

La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore del soggetto interessato contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli – Sez. distaccata di Ischia, adito in sede di esecuzione, che aveva rigettato la richiesta di revoca o di annullamento dell’ingiunzione a demolire emessa in relazione alla sentenza di condanna per reati edilizi relativi ad un manufatto resa dal Tribunale di Napoli.
Il mancato accoglimento della suddetta richiesta presentata da soggetto diverso da colui che era stato condannato, subentrato jure successionis nella titolarità del suddetto immobile, e fondata sull’intervenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria rilasciatole dal Comune è stato motivato dal Giudice dell’esecuzione in ragione dell’illegittimità del suddetto titolo abilitativo sia perché il D.L. 109/2018 convertito nella L. 130/2018, in forza della quale era stato rilasciato, non era applicabile all’immobile de quo stante il divieto previsto dall’art. 21, comma 2-bis secondo il quale nessun contributo può essere concesso per gli immobili danneggiati dal sisma oggetto di ordine di demolizione o di ripristino impartito dal giudice penale, sia perché l’iter procedimentale, insistendo il bene su area sottoposta a vincolo paesaggistico, non poteva ritenersi regolare in mancanza del parere favorevole della Soprintendenza prescritto dall’art. 46 D.L. 42/2004, sia perché l’area di sedime, ricadendo nella zona F1, era oggetto di vincolo di inedificabilità assoluta.
Il gravame si basava, quanto al primo motivo, sulla sussistenza di tutti i presupposti per l’applicabilità del D.L. 109/2018, con il secondo motivo era contestata – in relazione al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica – il silenzio tenuto dalla Soprintendenza potesse essere interpretato come silenzio rigetto e con il terzo motivo si deduceva, in relazione al vincolo di inedificabilità assoluta, che l’immobile de quo è ubicato in zona R.U.A. (Recupero Urbanistico Edilizio e Restauro paesistico Ambientale) del vigente PTP dell'(omissis) , approvato con D.M- 8.9.2018, le cui prescrizioni prevalgono su quelle del Piano Regolatore del Comune.

 

La sentenza

In via preliminare la Corte ritiene il ricorso inammissibilità per manifesta genericità dei motivi.
Il giudice dell’esecuzione investito dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva ha il potere-dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del titolo abilitativo, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, e, ove l’immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili.
Nel caso in esame non solo la normativa di cui al D.L. 109/2018 convertito nella L. n. 130/2018 (c.d. “Decreto Genova”) non è applicabile in ordine ad immobili oggetto di ordine di demolizione o ripristino impartito dal giudice penale stante l’esplicito divieto di cui all’art. 130, ma soprattutto come l’autorizzazione paesaggistica, nella specie mancante, costituisca conditio sine qua non ai fini del conseguimento della sanatoria.
Per quanto poi attiene la formazione del silenzio-assenso per gli immobili siti in aree vincolate introdotta dall’art. 39, comma 7, L. 724/1994 riguarda solo he fattispecie degli ampliamenti o delle tipologie di abuso che non comportino aumenti di superficie o di volume, laddove, nel caso di specie, trattandosi di nuova costruzione e di un successivo volume in ampliamento, si versa in una situazione pacificamente estranea all’ambito di applicazione della disposizione in questione.
La Corte ha quindi rilevato che: «(…) muovendo dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha reiteratamente affermato che per l’autorizzazione paesaggistica opera il principio della necessità di una pronuncia esplicita non potendo il silenzio della P.A. avere valore di assenso (Corte Cost. 17/12/1997 n. 404; 10/3/1998 n. 302; 1/7/1992 n. 307), è stato infatti esplicitamente escluso che il silenzio-assenso valga per i provvedimenti in materia di tutela del paesaggio in linea con il principio generale stabilito all’art. 20, comma 4 della L. n. 241 del 1990, che vieta la formazione per silentium del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di “interessi sensibili”, nei quali si inscrive a pieno titolo la tutela del paesaggio avente valore di rango costituzionale (Cons. di Stato Sez. VI n. 3039 del 23.5.2012)».
Con riferimento al terzo motivo viene specificato che l’eventuale errore di fatto del giudice dell’esecuzione sul punto della indicata qualificazione dell’area non è certamente suscettibile di valutazione nel giudizio di cassazione, ove è insindacabile la regolarità dei procedimenti amministrativi seguiti per il rilascio di titoli abilitativi edilizi, essendo preclusa in sede di legittimità qualsiasi verifica involgente il merito della riscontrata irregolarità che presuppone, a sua volta, la concreta individuazione dell’ubicazione dell’immobile con riferimento agli strumenti urbanistici vigenti.
La Corte di cassazione ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

La sentenza è qui disponibile Cass.pen., Sez. III, 23.12.2022, n. 48931

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