16 Marzo 2025
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Cass. Pen., Sez. III, 19 luglio 2021, n. 26575 in tema di reati tributari e confisca

Cass. Civ., Sezioni Unite, 16 febbraio 2022, n. 5049

La massima.

In tema di reati tributari, il profitto del reato confiscabile è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente. L’evasione di un’imposta, tuttavia, è dato indefettibile per poter affermare la sussistenza di un profitto illecito” (Cass. pen., sez. III, 19.07.2021, n. 26575).

Il caso.

La pronuncia in esame origina dal ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza della Corte d’Appello che, accogliendo il gravame proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza che in primo grado aveva assolto l’imputato  dai reati di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché il fatto non costituisce reato, ne ha affermato la penale responsabilità per entrambi i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi nove di reclusione.
Con successiva ordinanza, la Corte territoriale ha disposto la correzione della sentenza, applicando all’imputato le pene accessorie di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 74/00 e disponendo la confisca per equivalente delle somme, dei valori e dei beni dell’imputato o nella sua disponibilità sino alla concorrenza del profitto del reato, quantificato in Euro 220.100,79
Con il primo motivo di gravame si lamentava la violazione degli artt. 2 e 8 D.Lgs. 74/00 nonché vizio di motivazione e nullità della sentenza per violazione dell’art. 603, c. 3-bis, c.p.p., e art. 533, c. 1, c.p.p., con il secondo si evidenziava la violazione dell’art. 597, c. 5, c.p.p. e vizio di assoluta mancanza della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla misura dell’aumento di pena determinato a titolo di continuazione, infine con il terzo motivo si deduceva la violazione dell’art. 12-bis D.Lgs. n. 74/00 e vizio di motivazione dell’ordinanza di correzione impugnata nella parte concernente la disposta confisca dei beni dell’imputato.

La motivazione.

In via preliminare la Corte di Cassazione richiama l’orientamento della CEDU secondo cui il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, c. 3, c.p.p. a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. A ben vedere poi non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando l’attendibilità della deposizione sia valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice.
Parimenti non occorre procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova nel caso di riforma della sentenza di assoluzione fondata non già sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, ma in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale
Orbene nel caso in esame la Corte ritiene che non sussistessero elementi per disporre la rinnovazione dell’istruttoria: la motivazione della Corte d’Appello circa la diversa conclusione infatti non era sorretta da una differente valutazione di prove dichiarative afferenti alla ricostruzione dei fatti, bensì sulla loro interpretazione ai fini della prova del dolo specifico richiesto dai reati contestati.
Con riferimento poi alla doglianza circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la Suprema Corte rileva che dalla trascrizione delle conclusioni si evince che la difesa dell’imputato non aveva effettuato tale richiesta con la conseguenza che risulta precluso la possibilità di effettuare il ricorso per Cassazione.
Vero punto cardine della pronuncia è l’accoglimento del terzo motivo di gravame.
I giudici di legittimità infatti affermano che: “In tema di reati tributari, il profitto del reato confiscabile è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, essendo indifferente se l’imposta evasa, in concreto, sia stata non pagata o portata a credito dal contribuente (Sez. 3, n. 1657 del 27/09/2018, dep. 2019, Di Giambattista, Rv. 275474). L’evasione di un’imposta, tuttavia, è dato indefettibile per poter affermare che un profitto illecito vi è stato, non essendo invece sufficiente che, a fronte di un credito IVA non spettante – maturato per l’indicazione nella dichiarazione di una fattura per operazioni inesistenti ed eventualmente fruibile in futuro – lo stesso non sia mai stato in concreto utilizzato per evitare il pagamento di imposte dovute”.
Circostanza questa avvenuta nel caso de quo.
La Corte di Cassazione ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla confisca e rinviato sul punto alla Corte di appello.

La sentenza è qui disponibile Cass. pen., sez. III, 19.07.2021, n. 26575

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