La massima.
“Il vero soggetto qualificato (e responsabile) non è il prestanome ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in condizione di compiere l’azione dovuta (la presentazione della dichiarazione) mentre l’estraneo è il prestanome” (Cass. pen., sez. III, 10.12.20, n. 35158).
Il caso.
La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dall’imputato, contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano la quale aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Milano che aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità degli imputati relativamente ai reati di cui agli artt. 81 e 110 c.p. e all’art. 3 del D.Lgs. n. 74/00.
Il gravame si fondava su numerose argomentazioni: l’illogicità della motivazione ed inversione dell’onere della prova, la violazione di legge per difetto di contestazione all’imputato assente, la violazione di legge in quanto, ove si volesse considerare il reato relativo all’anno 2010 un reato connesso – ex art. 12, c. 1, lett. B), c.p.p., sussisterebbe comunque la violazione dell’art. 517 c.p.p., la contraddittorietà della motivazione relativamente all’elemento oggettivo del reato contestato, con travisamento del fatto e delle prove, la violazione di legge relativamente alla valutazione delle prove, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza per l’imputato della qualifica di amministratore di fatto, la mancanza o manifesta illogicità della motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio nonché il mancato riconoscimento delle circostanze ex art. 62-bis c.p..
La motivazione.
La Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente circa la penale responsabilità del prestanome – c.d. testa d legno – e del concorso nel reato del soggetto extraneus.
Il supremo consesso ritiene che, nel caso in esame, il concorso dell’extraneus nel reato proprio è configurabile, quando vi è volontarietà – data appunto dal dolo – della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus.
A livello prettamente normativo poi la configurazione dell’amministratore di fatto è prevista nell’art. 2639, c. 1, c.c. (Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione). Tale soggetto poi, oltre ai reati societari di cui all’art. 2639 c.c., risponde anche dei delitti commessi in tale veste.
La giurisprudenza di legittimità ha quindi evidenziato l’importanza e la prevalenza non del dato meramente formale – la qualifica di amministratore di diritto o di prestanome -, ma del criterio funzionalistico, o dell’effettività, e del dato fattuale della gestione sociale che deve prevalere su quello formale.
Partendo da questo presupposto quindi la Suprema Corte ritiene che il vero soggetto qualificato e responsabile non è il prestanome, ma colui il quale effettivamente gestisce la società perché solo lui è in condizione di compiere l’azione dovuta, mentre l’estraneo è il prestanome. A quest’ultimo una corresponsabilità può essere imputata solo in base alla posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi.
Riprendendo un filone consolidato in giurisprudenza (Cass. pen., sez. III, 02.03.16, n. 15900), i giudici di legittimità hanno ritenuto che, con riferimento ai reati anche omissivi commessi in nome e per conto della società, l’amministratore di fatto sia soggetto attivo del reato mentre il prestanome il concorrente per non avere impedito l’evento che aveva il dovere di impedire
Ed invero, con riferimento all’elemento soggettivo, proprio perché il più delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza nella gestione della società per addebitargli il reato a titolo di concorso, la giurisprudenza di legittimità ha fatto ricorso alla figura del dolo eventuale; il prestanome in sostanza accettando la carica accetta anche i rischi connessi a tale carica
Mutuando quindi il ragionamento effettuato anche da precedenti sentenze di legittimità (Cass. pen., sez. V, 07.01.15, n. 7332), la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile i ricorsi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.