17 Marzo 2025
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Cass. Pen., Sez. III, 09 febbraio 2021, n. 5043 sulla violenza sessuale commessa da soggetto affetto da cecità

Cass. Civ., Sezioni Unite, 16 febbraio 2022, n. 5049

La massima.

Con riferimento al reato di violenza sessuale, ex art. 609-bis c.p. qualora la condotta dell’imputato sia intenzionale, è ovvio che sussista l’elemento soggettivo e che nessun rilievo può riconoscersi alla cecità dello stesso”. (Cass. pen., sez. III, 09.02.21, n. 5043).

Il caso.

La pronuncia in esame origina dal ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Torino la quale aveva confermato la decisione emessa dal Tribunale di primo grado che aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 609-bis c.p.. Nell’unico motivo di gravame veniva dedotta l’erronea applicazione dell’art. 609-bis c.p. ed il vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova dell’elemento soggettivo del reato.

La motivazione.

In via preliminare la Corte di Cassazione afferma che il ricorso è caratterizzato da genericità richiamando la propria giurisprudenza sul punto (Cass. pen., sez. VI, 11.03.09, n. 20377), secondo la quale si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.

Inoltre il controllo di legittimità consentito sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo e non meramente apparente e che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni, né illogicità evidenti.

Quanto alla illogicità della motivazione la Corte afferma che: “la menzionata disposizione vuole peraltro che essa sia manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata”.

Per quanto attiene poi alla condizione fisica dell’imputato, ed in particolare alla dedotta cecità, lo stesso consulente tecnico della difesa aveva escluso che il trattamento delle cefalee richieda contatti con le zone genitali o il seno.

La Suprema Corte ritiene che: “tale valutazione di merito  all’evidenza esclude, implicitamente ma inequivocabilmente, che la cecità dell’imputato possa aver avuto un qualsivoglia rilievo nella condotta contestata, stante la chiara intenzionalità della stessa, sicché nessun vizio di carenza di motivazione è al proposito ravvisabile. Se dunque la condotta è intenzionale  è ovvio che sussiste l’elemento soggettivo e che nessun rilievo può riconoscersi alla cecità dell’imputato”.

Conseguentemente la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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