La massima.
“Il detenuto in regime di 41-bis O.P. ha diritto ad usufruire, stante l’emergenza pandemica da Covid-19, dei colloqui mediante videochiamata” (Cass. pen., sez. I, 19.05.21, n. 19826 ).
Il caso.
La pronuncia in esame origina dal ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste contro l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Trieste che aveva parzialmente accolto il reclamo proposto dal detenuto, in regime di cui all’art. 4-bis O.P., avverso il decreto del Magistrato di sorveglianza di Udine che aveva respinto il reclamo contro il rigetto della Direzione del carcere di effettuare i colloqui in video-collegamento con i familiari, stante l’emergenza Covid-19.
Il motivo di gravame si basava, ai sensi dell’art. 606, c. 1, lett. b), c.p.p., l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 69, c. 6, lett. b), artt. 1 e 35-bis, art. 4-bis, c. 2-quater, lett. b), O.P., mentre con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, c. 1, lett. e) c.p.p. la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Proponeva ricorso per Cassazione anche il difensore del condannato lamentando, ai sensi dell’art. 606, c. 1, lett. b) c.p.p., l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 1, c. 6, art. 15, art. 18, c. 3, art. 28 e art. 41-bis, c. 2-quater, lett. b), O.P., artt. 61, c. 1, lett. a) e 73, c. 3, D.P.R. n. 230 del 2000, art. 125, c. 3, c.p.p., artt. 29, 30 e 31 Cost. e art. 8 CEDU.
La motivazione.
In via preliminare la Corte di Cassazione ritiene il ricorso presentato dal Procuratore Generale infondato, mentre meritevole di accoglimento quello della difesa del detenuto.
La Suprema Corte afferma nuovamente che i colloqui visivi sono un diritto essenziale per il soggetto detenuto che attraverso tale strumento può mantenere i legami con il nucleo familiare e la realtà extramuraria.
Diritto che, per altro, è sorretto anche dalle guarentigie costituzionali sicché eventuali restrizioni o limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge e devono essere giustificate da esigenze di pubblica sicurezza, di ordine pubblico e prevenzione dei reati, di protezione della salute, dei diritti e delle libertà altrui.
Da un punto di vista prettamente normativo i giudici di legittimità ricordano che ai sensi dell’art. 41-bis, c. 1-quater, lett. b) O.P., il detenuto ha diritto a un colloquio al mese con i familiari e conviventi, da svolgersi in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di soggetti, con obbligo di controllo auditivo e di registrazione, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente.
Inoltre, per chi non effettua colloqui è prevista, solo dopo i primi sei mesi di applicazione del regime differenziato, l’effettuazione di un colloquio telefonico mensile con i medesimi soggetti, della durata massima di dieci minuti, sottoposto anch’esso a registrazione e comunque a videoregistrazione.
Inoltre la Suprema Corte afferma che: “Secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale, la disciplina più restrittiva prevista per i detenuti sottoposti al suddetto regime può ritenersi giustificata a condizione che le deroghe al regime ordinario siano strettamente connesse alle esigenze di ordine e di sicurezza e che esse siano non altrimenti gestibili, atteso che, ove le limitazioni non siano funzionali a tali esigenze, esse assumerebbero una portata puramente afflittiva, esulante dagli scopi che l’ordinamento attribuisce alla disciplina in questione”.
Proprio sul punto anche la giurisprudenza di legittimità è ormai salda nel ritenere che: “Il detenuto sottoposto a regime differenziato, ai sensi dell’art. 41-bis Ord. Pen., può essere autorizzato a effettuare colloqui visivi con i familiari mediante forme di comunicazione audiovisiva controllabili a distanza, secondo modalità esecutive idonee ad assicurare il rispetto delle esigenze imposte dal citato regime, ove ricorrano situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà rispetto all’esecuzione dei colloqui in presenza (così Sez. 1, n. 23819 del 22/6/2020, Madonia, Rv. 279577).
Ciò in quanto tali modalità di esecuzione del colloquio da remoto, che l’Amministrazione ha espressamente previsto per i detenuti riconducibili al circuito della cd. media sicurezza, appaiono in grado di garantire una forma di contatto a distanza senza pregiudizio, come si dirà, per le esigenze di tutela della collettività che sono proprie del regime differenziato; e che costituiscono, come ricordato, il criterio essenziale per verificare se la disciplina di maggior rigore sia giustificata”.
Volendo infine esaminare la questione dal punto di vista dell’interpretazione letterale della norma la Corte rsi sofferma sul fatto che: “Il D.L. 10 maggio 2020, n. 29, dettato per la gestione della cd. emergenza Covid-19,òche ha previsto la possibilità per i condannati, gli internati e gli imputati di svolgere “a distanza” i colloqui con i congiunti, proprio per la impossibilità di effettuare i colloqui in presenza determinata dalla situazione pandemica; senza che, peraltro, la disciplina distingua tra i detenuti cui è riferibile, sicché da essa possono essere esclusi i detenuti assoggettati al regime penitenziario differenziato soltanto ove la relativa scelta sia realmente funzionale all’obiettivo primario dell’art. 41-bis Ord. Pen., costituito dalla necessità di escludere i contatti tra il detenuto e il gruppo criminale di riferimento”.
In conclusione la Corte di Cassazione ha ritenuto che la videochiamata costituisce una modalità esecutiva del colloquio visivo nei casi in cui esso, per motivi eccezionali, non possa avere luogo e non un semplice colloquio telefonico soggetto ad una durata sensibilmente minore.
In tal senso i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del Procuratore Generale e annullato l’ordinanza impugnata su ricorso proposto dal detenuto rinviando per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Trieste, in relazione alla equiparazione della videochiamata al colloquio telefonico.
La sentenza è qui disponibile Cass. pen., sez. I, 19.05.21, n. 19826