La massima
“Nei procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 35-ter O.P., le allegazioni dell’istante sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull’Amministrazione penitenziaria l’onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario“. (Cass. Pen., Sez. I, 08.04.2022, n. 13660)
Il caso
La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal Ministero della Giustizia, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, contro l’ordinanza emessa dal Tribunale di sorveglianza che aveva parzialmente riformato l’anteriore decisione del Magistrato di sorveglianza, inerente l’istanza, presentata ai sensi dell’art. 35-ter O.P., di ristoro del pregiudizio derivante dalle condizioni inumane e degradanti della detenzione.
Il gravame si basava sull’errata applicazione del principio dell’onere della prova e sulla violazione dell’art. 35-ter O.P., con riferimento alla valutazione delle condizioni detentive.
La sentenza
Nel ritenere il ricorso inammissibile, la Corte di cassazione richiama alcuni precedenti arresti giurisprudenziali di legittimità ribadendo che: “Nei procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., le allegazioni dell’istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata, e riscontrata sotto il profilo dell’esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull’Amministrazione penitenziaria l’onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario”
Correttamente, quindi, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato circa quanto esposto dal detenuto in merito alla presenza del WC all’interno della stessa stanza dove lo stesso cucinava, mangiava e dormiva senza la sussistenza di un’effettiva separazione. Tale condizione ha quindi inciso sulla permanenza detentiva, rendendola degradante e comprimendo non solo il diritto alla riservatezza, ma anche la salubrità dell’ambiente nel quale il soggetto espiava la pena.
Ad aggiungersi che l’Amministrazione penitenziaria non ha provveduto a fornire alcun elemento dal quale poter desumere differenti ragioni.
La Corte di Cassazione ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile.
La sentenza è qui disponibile Cass. Pen., Sez. I, 08.04.2022, n. 13660