21 Marzo 2025
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“Buona Scuola”: la sanatoria sottoposta alla Corte Costituzionale

Nel precedente articolo, relativamente alla L. 107/2015, abbiamo analizzato la sentenza n. 8085/2016 con cui il TAR Lazio sez. Terza Bis, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale avanzata nei confronti dell’art. 1 commi 87-91 (attinenti alla regolamentazione della sanatoria, cd procedura riservata, per una serie di contenziosi pendenti avverso procedure concorsuali, relative al reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado ed infine per gli istituti educativi), in relazione agli artt. 3, 24, 35, 97, 101, 103, 111, 113 Cost.

Proposto appello al Consiglio di Stato, per l’annullamento ovvero la riforma della suddetta sentenza, la VI Sez. del CdS si è pronunciata con ordinanza n. 3008/2017 e, ritenendo rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, ha disposto la sospensione del giudizio nonché la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

La Sezione, oltre ad accogliere la questione di legittimità avente ad oggetto l’intero intervento legislativo, solleva, in via subordinata, questione di legittimità per il solo comma 88 dell’art.1 della L. 107/2015 ritenendola parimenti rilevante.

In relazione all’ art.1 commi 87-91 della L.107/2015, il Collegio in prima battuta, ha ritenuto applicabili alla fattispecie oggetto di giudizio le suddette norme; inoltre, il D.M. M.I.U.R. n. 499/2015, limitandosi ad applicare tali disposizioni, “sta e cade con la legittimità costituzionale delle stesse.”

La normativa in oggetto rientra nella categoria delle c.d. leggi provvedimento, le quali, incidendo su di un numero determinato e limitato di soggetti, si caratterizzano per un contenuto particolare e concreto (Corte Cost. 20 novembre 2013 n. 275). Non essendovi nel dettato costituzionale, alcuna riserva agli organi amministrativi o esecutivi relativamente agli atti a contenuto particolare e concreto, questa categoria non risulta essere di per sé contraria a Costituzione: tuttavia “devono però sottostare ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio (Corte Cost. 20 novembre 2013 n. 275).”

Ciò posto, il Collegio raffronta tali disposizioni con gli artt. 3, 51 e 97 c. 4 Cost.: nello specifico, l’art 3 Cost. stabilisce il principio di uguaglianza; l’art 51 Cost. dispone che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” ed infine, l’art 97 c. 4 Cost. stabilisce che “Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Acché il principio del pubblico concorso sia rispettato, l’accesso al pubblico impiego deve avvenire tramite una procedura avente tre requisiti di massima. Deve trattarsi di una procedura aperta talchè vi possano partecipare il maggior numero di cittadini. In secondo luogo, deve avere carattere comparativo, selezionando in questo modo i migliori fra gli aspiranti. Infine deve essere una procedura congrua, ovvero tale da consentire di verificare il possesso da parte dei candidati “della professionalità necessaria a svolgere le mansioni caratteristiche, per tipologia e livello, del posto di ruolo che aspirano a ricoprire”.

In conseguenza di ciò, una procedura di reclutamento ristretta che limiti in modo irragionevole l’accesso, sarebbe costituzionalmente illegittima. Pur essendo ammesse, le eccezioni alla regola del pubblico concorso devono essere “rigorose e limitate” (Corte Cost. s. n.293/2009), ed infatti sono subordinate a due requisiti: devono rispondere ad una “specifica necessità funzionale dell’amministrazione, ovvero a peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico”.

A tal riguardo, la giurisprudenza ha chiarito come non rientrino in questi parametri “né l’esigenza di consolidare il precariato né quella di venire incontro a personali aspettative degli aspiranti, né tantomeno esigenze strumentali di gestione del personale da parte dell’amministrazione”; pertanto, l’unica giustificazione ammissibile per un concorso riservato, consiste in “esigenze desumibili da funzioni svolte dall’amministrazione”, soprattutto quando ciò derivi dal bisogno di particolari capacità professionali non reperibili all’esterno dell’amministrazione, ergo tali da giustificare “che ci si rivolga solo a chi già ne è dipendente in una data posizione”.

In aggiunta a ciò, tali eccezioni, devono prevedere adeguati strumenti per garantire la professionalità del personale; in riferimento al caso di specie, concernente i dirigenti scolastici, la giurisprudenza ha chiarito la necessità di “procedure imparziali e obiettive di verifica dell’attività svolta, per la valutazione di idoneità ad altri incarichi dirigenziali, in grado di garantire la selezione dei migliori” (Corte Cost. s. n. 363/2006)  ed, in tal senso, non basterebbe dunque un rinvio al “particolare successo” avuto dall’aspirante nello svolgere un precedente incarico.

La procedura prevista dalle norme in questione, sicuramente rappresenta un’eccezione al pubblico concorso, in quanto rivolta solo a determinati soggetti, ed inoltre risulta sprovvista dei presupposti necessari per legittimarla.

E’ evidente l’assenza di “ragioni di interesse pubblico”, infatti, il concorso si rivolge a coloro i quali abbiano superato le prove del concorso del 2011: ciò non garantisce né la professionalità attuale dei soggetti né rientra nell’ipotesi di “particolare professionalità che l’amministrazione non potrebbe acquisire in altro modo”. La procedura, si rivolge anche ai soggetti che abbiano un contenzioso in corso relativo ai concorsi del 2004 e 2006: l’inclusione di questa categoria, secondo il Consiglio, dipende da circostanze casuali che certamente “nulla hanno a che vedere con la professionalità dell’aspirante.”

Sul punto, il testo di legge fa riferimento a “esigenze di economicità dell’azione amministrativa e di prevenire le ripercussioni sul sistema scolastico dei possibili esiti del contenzioso pendente” (Art. 1 c. 87 L. 107/2015), le quali, vengono considerate dal Consiglio come inspiegabili “dato che non si spiega come la procedura risulterebbe più economica rispetto ad un reclutamento secondo le regole ordinarie”, considerando oltretutto, come sia fisiologico l’impatto delle decisioni giudiziarie sull’organizzazione amministrativa.

Pur considerando la procedura in esame, come finalizzata alla tutela delle aspettative dei soggetti coinvolti, nemmeno ciò varrebbe a legittimarla.  Al contrario, il  meccanismo previsto da quest’ultima, tantomeno appare idoneo a garantire “la selezione di soggetti adatti al ruolo da ricoprire”: da un raffronto tra la normativa in esame, seguita dal D.M. applicativo  n.499/2015, ed il vecchio sistema di reclutamento, disciplinato in via ordinaria dal comma 618 dell’Art. 1 della L. 296/2006, seguito dal relativo D.P.R. 10 luglio 2008 n.140, si evince come quest’ultime consistano in prove con un livello di difficoltà significativamente superiore rispetto alla procedura ordinaria in esame.

Da questa considerazione, posta in relazione con la prova speciale prevista dall’art. 1 c. 90 L.107/2015, ossia una “prova orale sull’esperienza maturata” riservata ai vincitori del 2011, risulta ancor più evidente l’inadeguatezza della procedura nello svolgere un’adeguata valutazione della professionalità del dirigente.

Inoltre, il Consiglio di Stato, dubita altresì della conformità della normativa in relazione al comma 8 lettera b) art. 6 paragrafo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, il quale prevede il diritto ad un equo processo ed assurge a rango costituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost. Secondo la giurisprudenza della Corte Europea, ove il legislatore nazionale intervenga con una legge a contenuto interpretativo, in modo tale che questa influenzi un procedimento giurisdizionale in corso, e detto intervento non sia sorretto da imperativi motivi di interesse pubblico, si verifica una violazione del diritto ad un equo processo.

Il comma 88 lettera b) della L.107/2015 consente ai soggetti che “abbiano avuto una sentenza favorevole almeno nel primo grado di giudizio ovvero non abbiano avuto, alla data di entrata in vigore della presente legge, alcuna sentenza definitiva”, relativamente ai concorsi 2004 e 2006, di partecipare alla procedura riservata, solo per questa loro condizione; in conseguenza di ciò permette loro di ottenere il bene della vita cui aspirano con modalità “più agevoli di quelle ordinarie e senza riguardo all’esito del giudizio stesso, interferendo così con l’esito relativo”, senza che vi siano motivi di interesse pubblico.

Alla luce di queste considerazioni, la questione di legittimità costituzionale, dell’art. 1 commi da 87 a 90 della l. 107/2015, risulta in via principale, rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, 51, 97 c. 4 e 117 Cost.

Nel caso in cui la normativa risulti conforme a Costituzione, il Collegio pone in via subordinata la questione di legittimità costituzionale del solo art. 1 c. 88 della L. 107/2015: tale parte dell’intervento legislativo appare infatti non conforme al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost, in virtù della disparità di trattamento tra i soggetti della lettera a) e b) del comma 88.

Coloro i quali abbiano partecipato ai concorsi 2004 e 2006, possono accedere alla procedura riservata solamente in quanto abbiano proposto ricorso giurisdizionale; invece, coloro i quali abbiano partecipato al concorso del 2011, possono accedere alla medesima procedura, solo ove abbiano superato le prove del concorso.

Condivisa dal G.A. in primo grado, sul punto l’Amministrazione si è difesa sostenendo che, essendo situazioni verificatesi in epoche differenti, ciò stesso giustificava il favor riservato a quelle più remote.

Al contrario, secondo il Consiglio di Stato, le esigenze di pubblico interesse perseguite dalla legge, ove venissero ritenute valide, sarebbero identiche per ambo le situazioni, non apparendo graduate in virtù dell’epoca più o meno lontana. Pertanto, risulta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale subordinata, relativa all’art. 1 c. 88 della L. 107/2015.

 

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